Matteo Marani ha accettato la provocazione con la quale ogni giornalista, prima o poi, si trova a fare i conti: “Oltre a criticare le cose che non vanno, perché non vi impegnate a cambiarle?”. Dagli schermi televisivi alla scrivania che fu anche di Artemio Franchi, mica facile. Passato il nono mese con un travaglio tutto sommato agevole, è entrato da pochi giorni nel decimo da presidente della Lega Pro, l’apparato più complesso del professionismo. Il modus operandi del calcio «che è abituato a vivere alla giornata, anzi alla mattinata», ancorato a personalismi e privilegi, continua a non piacergli, ma oggi sente la responsabilità di poter invertire la rotta.
Marani, è così anche in C?
«Noi lavoriamo di squadra. Non farò mai l’uomo solo al comando».
Quindi come sta la categoria?
«Siamo arrivati a trasmettere su Sky, che ringrazierò sempre, abbiamo per la prima volta un title sponsor, Now, abbiamo distribuito ai club il doppio dei ricavi delle tv superando il tetto dei 6 milioni. E oggi con 18 regioni rappresentate, 4 milioni di tifosi e un’attenzione ai costi nata con il mio predecessore Ghirelli siamo più sostenibili. La soddisfazione più grande è vedere nei presidenti un nuovo orgoglio nel far parte della categoria: prima volevano tutti scappare via».
Ma il sistema, fa sistema?
«Spesso no. Se qualcuno non capisce che non ci si salva da soli, ma insieme, qui affondiamo tutti. Non è possibile che in prima classe si stappa lo champagne e in terza si fatica a mangiare. Spesso qui in sede guardo il Pallone d’Oro che i club regalarono a Franchi quando fu eletto presidente Uefa: quello era un sistema che faceva squadra e che infatti vinceva».
È l’ora della riforma?
«La categoria che ha lanciato Baggio, Riva, Zola e tanti altri ha il 2% della mutualità del sistema. La Bundes alle serie inferiori riversa il 20%, la Ligue1 il 19%, la Premier vende i diritti tv insieme alle categorie minori, in Spagna quelli commerciali sono in parte divisi. La riforma è questione di sostenibilità. Gravina ha convocato un’assemblea a marzo per togliere il diritto d’intesa se le componenti non si mettessero d’accordo. Siamo al punto di non ritorno».
Ma 60 squadre in Lega Pro sono sostenibili?
«La riforma non è una questione algebrica, ma non si può pensare che l’unica a ridurre l’organico sia la C, che ha già fatto autoriforme. La A non vuole toccare nulla, la B parla di una retrocessione in meno. Casini dice che 60 sono troppe? Nel ‘21-22 il calcio ha avuto perdite per 1,3 miliardi e la C concorre per il 6,7%. Per quanto riguarda i debiti in A la media è 50,2 milioni, in B 13,4 e in C solo 1,9. Se togliamo 20 club non arriviamo al debito di uno solo della massima categoria».
Ci sono tante repubbliche.
«Eppure noi possiamo essere il salvagente. In Serie A gli stranieri sono il 63,8%, in B il 31%, in C il 12%. Abbiamo l’88% di italiani. È evidente chi fa la formazione».
In un’intervista con il direttore Zazzaroni, Zola ha lanciato l’allarme su vincolo e riforma dello sport.
«Quella del nostro vicepresidente, un esempio per tutti, è una denuncia forte. Rischiamo di perdere la forza motrice, il volontariato dei dilettanti e gli investimenti sui vivai dei presidenti di C. Siamo preoccupati, ma abbiamo già avanzato proposte al ministro Abodi. E sui giovani faremo la “Riforma Zola”».
Cosa preoccupa di più i club?
«Trovare una soluzione alla razzia dei talenti. Tra le tante, proponiamo l’apprendistato d’autorità compiuti i 16 anni».
I ripescaggi penalizzano le squadre di C?
«Se una promossa dalla C alla B non ha i requisiti, viene riammessa una di B. Pensate al caso Lecco: sarebbe risalito una cadetta e non il Foggia finalista dei playoff. Quello dell’art. 49 delle Noif è un privilegio che qualcuno non vuole perdere».
Come sta andando il progetto seconde squadre?
«La Juve ha fatto scuola e oggi c’è anche l’Atalanta. Per ognuna che entra c’è un posto in meno, ma è un’esigenza del sistema e nel mio calcio ideale c’è solidarietà e collaborazione».
Il Mantova riammesso è 1° nel girone A, nel B con la Torres è in testa il Cesena che nel 2018 era fallito e nel C c’è la Juve Stabia. Cosa sta dicendo il campionato?
«Che si può ripartire anche dopo un fallimento, come ci ha insegnato il Napoli. La Torres non era attesa lì in alto ma ci sta con merito. Anche la Triestina è passata dai playout e ora è al vertice, senza dimenticare il Cesena che vola con 4-5 giovani del proprio vivaio ed è un modello. C’è sempre più interesse per la Serie C».
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