Maradona, documento clamoroso: “Diego non doveva essere dimesso dalla clinica”

Dubbi, ombre e novità clamorose. Per Diego Armando Maradona non c’è pace neanche a più di dieci giorni dalla scomparsa. Nel mirino sono ancora finiti il medico del Pibe de Oro, Leopoldo Luque, e la psichiatra Agustina Cosachov. “Nessuno aveva il controllo del paziente” ha riferito una fonte investigativa a La Nacion. Lo stesso quotidiano argentino ha pubblicato un documento esclusivo, in cui non si evidenzia nessuna dimissione dalla Clinica Olivos, ma soltanto il consiglio di proseguire la riabilitazione in un centro specializzato. Siamo al 12 novembre, ovvero il giorno in cui il Diez è stato dimesso dopo l’intervento al cervello. Un documento che porta la firma di Luque, del direttore della struttura e delle figlie Giannina e Jana.

“Potrebbe essere omicidio colposo”

Il resto della storia è nota: Maradona è stato poi trasferito nella casa di San Andrés, morendo qualche settimana più tardi. “Ogni nuovo elemento che viene acquisito nell’indagine rafforza l’ipotesi provvisoria che ci sia stata una gestione lacunosa nel trattamento che ha ricevuto Maradona – ha sostenuto la fonte – Siamo davanti alla possibilità che sia stato commesso un reato. È possibile dire che potremmo trovarci davanti ad un omicidio colposo”.

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Non c’era nessun sistema di controllo del paziente, abbiamo accertato che un medico è andato un paio di volte a vedere Maradona, ma non sappiamo cosa abbia fatto. Non è accertata la presenza di un cardiologo nella casa, di uno specialista che si occupasse delle patologie cardiache”. Maradona risiedeva in un domicilio che – secondo gli inquirenti – era stato allestito “in una disorganizzazione totale”. Tutto questo sarebbe stato proposto da Luque e Cosachov e accettato dalla famiglia del Pibe de Oro.

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Cosa prevede il codice penale

L’indagine è tuttora in corso ed è affidata al procuratore generale di San Isidro, John Broyad. Tante le questioni da accertare, una su tutte quella relativa alla qualità delle cure ricevute da Maradona. Bisognerà attendere l’esito degli esami supplementari legati all’autopsia. L’unica certezza risiede nel codice penale: l’articolo 84 prevede una pena tra 1 e 5 anni di reclusione per chi “nell’esercizio della propria professione causi la morte di qualcuno per imprudenza, negligenza o imperizia”.

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