Lukaku, gigante buono: “Avrei voluto incontrare Kobe, Mandela e il rapper Tupac”

L’attaccante a ruota libera al Festival dello Sport: “Fino ai 16 non è stato facile: la sera i nostri genitori non mangiavano per far mangiare noi”. E ancora: “Con Conte ti senti troppo forte”

Romelu Lukaku è tante cose insieme: gigante buono e spietato killer. È l’uomo impegnato contro il razzismo e l’incubo dei difensori. È il ragazzino uscito dal ghetto inseguendo la palla, il centravanti che ha rapito i tifosi dell’Inter, il dj dai gusti raffinati e da adesso pure il nuovo “Premio Facchetti”. Ha mostrato i suoi tanti volti, perfettamente combacianti, al Festival dello Sport della Gazzetta. Intervistato da Luigi Garlando, prima di ricevere il riconoscimento dedicato al grande Giacinto, ha parlato di sé e del mondo, del suo ieri e del suo domani. A partire dalla famiglia, lì dove tutto è cominciato: “Mio padre Roger era un calciatore: da lui ho imparato disciplina, mentalità e rispetto per le persone. Ricordo ancora un suo gol contro l’Anderlecht, la mia squadra del cuore al tempo: lo conservavamo in una Vhs. Quando papà ha smesso, avevo sei anni e in famiglia non c’erano più soldi: a mamma Adolphine venne diagnosticato il diabete, eppure doveva andare a lavorare. Fino ai 16 non è stato facile: la sera i nostri genitori non mangiavano per far mangiare noi… Ma proprio da lì nasce la mia voglia di emergere, voglio ricompensare i sacrifici di mia madre”.

Il quartiere

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Oggi sembra lontano il famigerato Molenbeek, quartiere-prigione di Bruxelles, tristemente celebre per il terrorismo e la mancata integrazione. Romelu viene da lì, da quel budello di vie, ma ha preso una strada diversa da tanti coetanei grazie al suo unico grande sogno: “Avevo solo il pallone nella testa, mi svegliavo con l’idea di diventare calciatore – racconta -. Andavo a scuola e poi all’allenamento, stop. A differenza di tanti altri, ogni cosa che facevo fuori da casa era con la palla”.

Gol in video

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L’infanzia di Big Rom è un mondo di gol e videocassette. Di reti dei suoi campioni del cuore rimaste in testa, viste e riviste in Vhs: “Ricordo un gol di Hasselbaink allo United col Chesea, quando l’ho visto per la prima volta ho detto: ‘Voglio fare come lui, giocare in Inghilterra’. Del mio idolo Vialli conservo la cassetta della finale del suo Chelsea contro lo Stoccarda con gol di Zola. E poi anche un Inter-Lazio di Coppa Uefa: Ronaldo fece la partita della vita”. Alla fine, Romelu in Inghilterra è andato per davvero e da lì eccolo qui in Italia, in un Paese diverso, che scopre sempre il razzismo nascosto tra le pieghe della società: “Ma io voglio pensare all’amore che mi dà la gente – continua l’attaccante -, da subito ho sentito l’affetto dei tifosi. Sono cose che esistono qua e non altrove, dando tutto per l’Inter mi rispetteranno pure gli avversari. Anche se adesso giocare in uno stadio vuoto è veramente brutto: manca l’energia e sentiamo tutto”.

Campioni e musica

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C’è un incontro nella vita di Rom che ha cambiato il destino. Antonio Conte è stato una folgorazione e quei due adesso hanno un rapporto simbiotico: “Mi ha migliorato in tutto – spiega il belga -. Se uno vuole giocare per Conte, deve capire che farà molti sacrifici, nella tecnica e nel fisico, ma poi con lui in campo ti senti troppo forte… Avevo bisogno di vincere qualcosa e sapevo che lui e l’Inter mi avrebbero aiutato. Ma solo il campo deve parlare, è lì che si ottengono le vittorie”. Fuori dal campo, invece, resta l’altra grande passione, la musica: “Fare il dj mi piace, amo mixare in casa, mi rilassa perché quando mi alleno mi arrabbio molto velocemente”. E poi le tante nuove amicizie coltivate a Milano: “Nel nostro gruppo i più divertenti sono Sensi, Young, Lautaro, Handanovic e Barella. Ma la cosa bella è che nessuno in questa squadra sta da solo, stiamo tutti insieme”. E siccome il titolo del Festival dello Sport è l’eterno “We Are The Champions”, ecco i tre campionissimi del bomber. Gli uomini che avrebbe voluto incontrare lungo la strada e che sono andati via troppo presto: “Kobe, Mandela e il rapper Tupac”, l’ultima sentenza del gigante buono.

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