Lobotka è il Napoli: dal flop al rinnovo

NAPOLI – Lui era il «gordo», per dirla con eleganza, il grasso o persino il «chiatto», per non usare eufemismi, mentre adesso le rotondità sono tutte dentro a quel palleggio sontuoso che incanta. E la linearità, ma chi l’avrebbe detto?, è nel calcio che sa di Europa, che l’avvicina a Iniesta, che scatena i paragoni. Lui, un anno e mezzo fa, era un «pacco», eh sì, venti milioni di euro più quattro di bonus al Celta Vigo, e al Napoli – a Napoli – il sospetto d’essere stati traditi. Però adesso, così vanno le cose, lui è la luce che s’irradia in mezzo al campo, è il benessere per Spalletti «perché uno così risolve i problemi di qualsiasi allenatore»; è il regista moderno che sta dentro al tiki-taka o in qualsiasi trattato di football antico e moderno, lo chiamano play ed è un giocatore. Quando Stanislav Lobotka atterrò a Napoli, gennaio del 2020, si portò appresso una investitura resa pesante dal miele che gli spalmò addosso Marek Hamsik: «E’ un grande giocatore». Ci aveva visto bene, avendolo al fianco in nazionale, e quando Cristiano Giuntoli, il diesse, l’interpellò, al capitano venne naturale sbilanciarsi. Poi si sa che vanno a finire certi rimbalzi: in quella rivoluzione, un centinaio di milioni di euro per «stracciare» tutto ciò che aveva fatto Ancelotti, la scelta di modificare il Napoli sin dentro alla sua natura si rivelò rovinosa: due anni fuori dalla Champions, la felicità per una vittoria in Coppa Italia, e Stanislav Lobotka ai margini con appena 527 effettivi giocati. Una derrota total, gli avrebbero detto a Vigo.

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Rinnova

Spalletti ha ricominciato (anche) da lui nel processo di restaurazione avviato per rimettere assieme i cocci e spazzare via il veleno: palla a Lobotka e poi il resto gira intorno. E’ cominciata un’altra vita e il contratto in scadenza nel 2024 sta per essere rinnovato: il management è stato a Napoli la settimana scorsa, ha dato senso a tutto ciò che che con AdL s’erano sussurrati al telefono, hanno cominciato a stabilire un accordo che li porterà assieme fino al 2027, con un ingaggio (ovviamente) riveduto e corretto che starà dentro i parametri societari e si avvicinerà ai tre milioni di euro. A Lobotka andrà un premio alla firma di un paio di milioni e per il futuro, se lo vorrà, potrà pure regalarsi una quinta stagione, come stabilito dalla opzione concessagli, ad una cifra lievemente inferiore da quella che maturerà subito.

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Intoccabile

Ma è l’esistenza di Lobotka e quella del Napoli che sono cambiati, perché adesso l’uno non riesce a fare a meno dell’altro: Spalletti lo ha tirato fuori domenica, con il Bologna, a otto minuti dalla fine; non ci ha mai rinunciato, se non part-time: lo sistemò in panchina con lo Spezia e lo rimise dentro nell’intervallo, come con il Lecce; poi gli ha evitato spiccioli di partita, come si fa con le star, e non se ne priverebbe neanche sotto tortura o con l’incedere dell’acido lattico. 

Unico

Lobotka non ha una «replica», ci sarebbe Demme che però è diverso nella sua natura di play, ed è la più sorprendente delle novità del biennio, un uomo riemerso dalla nebbia fitta nella quale era piombato, un panchinaro ritrovatosi anche in tribuna, ad un certo punto – ma nel finale – perseguitato dalla tonsillite. Tutto sommato un equivoco, se non un bluff, uno di quegli errori macroscopici che rischiano di segnarti anche il bilancio: mentre ora – ciak, è la vita – la sua storia è diventata un esempio, il modello di riferimento della rivincita. Perché Lobotka ora è grasso che cola (calcisticamente). 

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