L’intervista per i 50 anni: “Ho avuto e visto tutto: rivorrei solo mio padre”

Il 20 febbraio 2019 la Gazzetta aveva pubblicato una lunga chiacchierata con l’allora allenatore del Bologna, in cui si era raccontato a cuore aperto

Andrea Di Caro

16 dicembre – Milano

“Chi me lo avrebbe detto che avrei festeggiato i 50 anni vedendo l’Isola dei famosi?”. Sinisa Mihajlovic ci scherza su. Oggi spegnerà le candeline vedendo le sue figlie in tv. Per la Gazzetta invece riavvolge il nastro di una vita che “ne vale almeno tre”.

quanta vita

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“I capelli lunghi e i riccioloni di quando ero ragazzo hanno lasciato il posto ai capelli bianchi. Si sono pure diradati, e ora li difendo come prima coprivo i miei portieri. Eppure per l’energia e l’entusiasmo, me ne sento 20 in meno. Anche se certe volte penso di averne già 150, per tutto quello che ho già vissuto. L’adolescenza in Serbia, la carriera, l’Italia e le tante città, sei figli, la povertà, i successi, l’agiatezza. Ma anche due guerre, le ferite, le lacrime… Oggi se mi guardo indietro posso dirlo: Sinisa, quanta vita hai vissuto”.

quei tiri nei campi

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“Sono passati 40 anni e sento ancora gli odori di quando ragazzino andavo in un campo dove c’erano due porte senza reti. Tiravo da una parte all’altra e tornavo a prendere la palla, da solo finché non diventava buio. Non mi stancavo mai”.

i miei genitori

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“Mio padre faceva il camionista è morto a 69 anni, di tumore ai polmoni. Quando se n’è andato io non c’ero. Ci penso tutti i giorni. Durante la guerra lo imploravo di venire in Italia ma volle restare nel suo Paese. Vorrei potesse vedere come sono cresciuti i suoi nipoti. Quando si parla di sogni non penso ad alzare una Champions League o uno scudetto. Il mio è impossibile: poter riabbracciare mio padre. Mia madre invece mi guarda ancora con gli stessi occhi di quando ero bambino. Lei non parla l’italiano e i miei figli poco il serbo. Ma ogni volta che viene a trovarci a Roma e vedo come li guarda, capisco che l’amore non ha bisogno di parole”.

champagne e… banane

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“Oggi mi piace vivere bene, so cosa significa avere poco da mangiare. Da piccolo adoravo le banane, ma non avevamo i soldi, mia madre ne comprava una e la dovevo dividere con mio fratello. Una volta le ho detto: quando divento ricco mi compro un camion di banane e le mangio tutte da solo. Oggi quando vado al ristorante scelgo il meglio. Bevo vini pregiati. Ma niente supererà mai il gusto di quei pezzetti di banana. Sarà per questo che ai miei non faccio mancare nulla. Però la ricchezza che spero di lasciare ai miei figli non è quella economica, ma valori e insegnamenti. Onestà, lealtà, sacrificio. Dovranno sudare, il cognome non basta”.

i miei figli

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“Sono un uomo fortunato, ho sei figli. Il primo, Marco, nato da un incontro quando arrivai a Roma. Mia moglie Arianna mi ha regalato 5 gioielli (Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas), se oggi sono il mio orgoglio gran parte del merito è di mia moglie. Sono la mia forza, il senso di tutto. La carriera mi ha impedito di godermi appieno la crescita come avrei voluto. Al più piccolo, Nicholas, ho dato più attenzioni perché ero più adulto e non facevo più il calciatore. Ma il tempo passa in fretta. Non viene più nel lettone a dormire e quando vado a prenderlo a scuola non mi corre più incontro per abbracciarmi, ora inizia a vergognarsi”.

il bambino perduto

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“Poco più di un anno fa io e Arianna stavamo aspettando un altro figlio. Purtroppo la gravidanza si è interrotta. Avere un figlio a 50 anni, è un po’ come ricominciare, tornare giovani. Mia moglie ci soffre, lo so, lo vedo. Io nel dolore penso che forse abbiamo già avuto tutto come genitori. Forse un altro figlio sarebbe stato sfidare le leggi del tempo. Ma di notte prima di addormentarmi il pensiero corre sempre lì”.

lo schifo della guerra

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“Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma quella fratricida che abbiamo vissuto noi nella ex Jugoslavia è quanto di peggio possa capitare. Amici che si sparavano tra loro, famiglie disgregate. Ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva «scannare come un porco», disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita. Del necrologio per Arkan, che conoscevo da prima della guerra, della mia condanna dei suoi crimini, di cosa rappresentava per i serbi in quel momento, ho detto già così tante volte… Dovranno passare due generazioni prima di poter giudicare cosa è accaduto. È stato devastante per tutti. Quello che racconto io, lo può raccontare anche un croato o un bosniaco. Abbiamo vissuto un impazzimento della storia”.

quegli occhi a vukovar

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“Io sono nato a Vukovar, per me era la città più bella del mondo. Poi è diventato simbolo della guerra. Ci sono tornato due anni fa, dopo 25 anni… L’ultima volta era stata durante il conflitto nel 1991. Era tutto raso al suolo, non riuscivo neanche a orientarmi. A capire le vie. Solo scheletri di palazzi e macchine ammassate per creare trincee. Non volava un uccello, non c’era un cane. Spettrale. Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, imbracciavano i mitra. Avevano occhi da uomini in corpi da bambini. Occhi tristi che avevano già visto tutto, tranne l’infanzia. Uno dei due si è avvicinato, mi ha chiesto chi fossi. Penso spesso a quel bambino, sapere che fine ha fatto. Se la guerra non se l’è portato via, oggi è un uomo. Magari ha moglie e figli. Spero che quegli occhi diventati adulti abbiano ritrovato un po’ di luce”.

roma e l’italia

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“Oggi la mia casa è a Roma. Che resta un museo a cielo aperto, ma negli anni il degrado è diventato insopportabile. Come si può sperperare così tanta bellezza? Milano è meno affascinante ma viaggia al doppio della velocità. In generale l’Italia è peggiorata e la gente si è incattivita. Scandali, ruberie, sfiducia. Non è un bel momento e non si avverte più la solidarietà”.

l’uomo prima di tutto

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“La soddisfazione più grande oggi come allenatore è il rapporto con i giocatori dovunque sia andato. Le lacrime che hanno versato quando sono andato via, il rispetto che non è mai mancato, la stima anche di chi ho fatto giocare poco. Perché posso sbagliare scelte, ma sono diretto, leale e mi comporto da uomo. Sciascia ne ‘Il giorno della Civetta’ divideva l’umanità in cinque categorie: uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà. E nel mondo del calcio è la stessa cosa. Ho una personalità forte, sono serbo dalla testa ai piedi, con i pregi e difetti del mio popolo orgoglioso. Ma so ammettere gli errori, chiedere scusa e accetto sempre il confronto. Vengo considerato un duro, è vero. Ed è meglio se non mi fai incazzare. Ma anche uno con le palle può commuoversi. Mi capita pensando a persone care che non ci sono più o alle mie figlie se ora sono lontane o magari vedendo un film. Quando sono andato per la prima volta a Medjugorje ho cominciato a piangere come un bambino, non riuscivo a trattenermi. E mi sono sentito più forte e più uomo quel giorno che in tutto il resto della mia vita”.

quanto valevo oggi?

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“La carriera da calciatore è stata unica: la Champions, gli scudetti, le vittorie… Forse potevano essere di più e mi chiedo se giocassi oggi quanto potrei valere. Ma dal pallone ho avuto tanto. Sono felice così”.

la partita perfetta

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“Il 9 ottobre 1999, Croazia-Serbia, la prima volta dopo la guerra. Qualificazione agli Europei: finisce 2-2 su miei assist. I giornali serbi mi hanno dato 10”.

punizioni… divine

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“Sarò presuntuoso, ma nessuno le calciava come me. Chiedetelo ai portieri, decidevo all’ultimo passo della rincorsa dove tirare. Ancora oggi a 50 anni tolgo la ragnatela dall’incrocio. Io e Pirlo abbiamo il record di gol in A, ma lui ha giocato più di me. Quanti hanno fatto tre gol su punizione in una gara come me?”.

i miei derby

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“Quello di Belgrado non è paragonabile a nessun altro, è molto di più di una partita. L’atmosfera del Marakanà è qualcosa che non si può spiegare. Quello di Milano è la nobiltà del calcio. A Roma è sfottò tutto l’anno: ai miei tempi la Lazio era un album di figurine: solo in difesa io, Stam, Couto, Nesta… In attacco la Roma aveva Totti, Batistuta, Montella e Delvecchio. Auguro a Roma di rivedere tutti insieme giocatori così. A Genova le coreografie più belle. A Torino vibra la voglia granata di ribaltare le gerarchie”.

che presidenti!

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“Il calcio mi ha permesso di conoscere un’infinità di personaggi. Politici, artisti, attori… E ho avuto come presidenti figure che hanno segnato la storia politica ed economica italiana. Berlusconi resta un personaggio incredibile, ma lo avrei voluto presidente 15 anni prima. L’epopea di Cragnotti si intreccia con una fase dell’Italia che poi è finita nei tribunali, io conservo l’immagine di un uomo che fece della Lazio un Luna Park per i tifosi. Moratti un signore come non se ne trovano più”.

Mi chiamò la Juve ma alla fine Conte decise di restare

Sinisa Mihajlovic

panchine mancate

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“La Juve mi chiamò l’ultimo anno di Conte, andai nella residenza degli Agnelli con Marotta e Nedved. Era tutto fatto. Ma alla fine Conte decise di restare. Salvo dimettersi due mesi dopo. Io ero rimasto alla Samp e a Torino è andato Allegri… L’Inter negli anni l’ho sfiorata così tante volte che ho perso il conto”.

la ripartenza a bologna

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“A Bologna ho cominciato la carriera da allenatore, considero Bologna una ripartenza: farò di tutto per salvarli”.

50 anni in 3 fotogrammi

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“La prima volta che ho visto Arianna e mi sono perso nel suo sorriso. La nascita dei miei figli. La rincorsa, il sinistro e la palla sotto all’incrocio”.

nessun rimpianto

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“Rivivrei tutto, nello stesso modo. Anche gli sbagli. Perché non esistono vite perfette. E sarebbero pure noiose. Se oggi sono quello che sono è anche grazie a qualche errore. Ho vissuto questi 50 anni come volevo io”.

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