Leao e Kvara, funamboli contro: l’arte di un dribbling nato ai confini del calcio

Il portoghese è cresciuto nel Barrio Jamaica, vicino Lisbona, mentre l’estro del georgiano ha origine a Tbilisi. Storia di due talenti contro in Champions

Leao e Kvaratskhelia vivono la vita in modo diverso. Rafa gli sorride, si vede anche in campo, mostra i denti bianchi mentre sguscia via agli avversari con felicità. Kvicha, invece, è un filo più cupo, converge verso il centro a testa bassa per liberare il destro e mostrare a tutti che dietro gli occhi d’ossidiana c’è qualcosa che brilla. Ed è il talento. Eccoli qui i dribblomani di Milan-Napoli, eleganti e decisivi, estrosi e talentuosi, due supernove che brillano in modo diverso sullo stesso campo, ma nate entrambe ai confini del pallone.

Leao, Way 45

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Leao è un estroverso. Uno che vive come gioca, ovvero d’istinto e potenza, libero e senza catene, come il rap di cui è innamorato fin da ragazzino. Quando non dribbla si fa chiamare Way 45, dal nome del codice posta del quartiere in cui è cresciuto, Barrio da Jamaica, un posto dove se imbocchi la strada sbagliata entri a piedi pari in un brutto giro. Da bambino aveva il pallone tra i piedi e l’Oceano alle spalle, tra venti e tempeste. Giocava per strada e dribblava chiunque con ogni mezzo, dai palloni di spugna ai Super Santos, ma a scuola andava malino. “A un certo punto mi sono dovuto svegliare”. Come al Milan. Pioli e Ibra ne sanno qualcosa. Negli ultimi due anni hanno passato metà del tempo e dirgli che uno come lui doveva lavorare sul talento per diventare il numero uno. E infatti ha vinto lo scudetto da star. Il dribbling di Leao è velocità pura. Ti punta, ti salta e va sul fondo. E poi sorride, alla vita e al calcio.

Kvicha da Tbilisi

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Kvaratskhelia è cresciuto in un contesto diverso. Il padre ha giocato a calcio a buon livello con la nazionale azera, ma un certo punto la famiglia ha dovuto convivere con la guerra in Ossezia. Kvicha aveva sette anni e osserva i carriarmati russi in tv senza capire, convinto fosse un film o un videogioco. La guerra tornerà a tormentarlo una decina d’anni dopo, ma di riflesso, salvo poi scappare da una Russia sempre più isolata. Il Lokomotiv Mosca lo prese per un pugno di rubli nel 2018, salvo poi cederlo al Rubin Kazan dopo un solo anno. I tatari sono stati costretti a salutarlo a causa della guerra in Ucraina e dello svincolo degli stranieri. Il Napoli ne ha approfittato e l’ha portato al Maradona, e a fine marzo è nato un bambino con il suo nome. Si chiama Daniele Khvicha ed è un omaggio al dribbling cattivo di un ragazzo d’oro. Cattivo perché rude, potente, efficace, forgiato da un’infanzia tosta unita all’estro dell’Est che non guasta mai. Kvaratskhelia ama accentrarsi e scagliare il destro, più che andare sul fondo come fa Leao. Domenica scorsa si sono scambiati la maglia come segno di rispetto e stima reciproca. Mercoledì si guarderanno ancora da lontano. Sullo stesso campo, con storie diverse, forgiate entrambe in periferia.

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