Le parole di Gasperini e il confine tra virtuosi e spreconi

G asperini è entrato a gamba tesa su un tema discusso ma poco conosciuto: i debiti nel calcio. L’argomento è divisivo, marca un confine tra virtuosi e spendaccioni, ma anche recente perché nessuno se ne preoccupava, fino a poco tempo fa, quando il calcio levitava nella sua bolla. Gasp si è lamentato di dover fronteggiare, alla guida della piccola Atalanta, gente con «un miliardo di debiti» ma chi, in Serie A, si trova in questa condizione? A rigore, nessuno. Inter e Roma sono i più indebitati ma va data la giusta dimensione ai numeri. Chi dice “debiti” spesso legge lo stato passivo del bilancio, scambiandone l’entità complessiva per l’indebitamento, ma non tutte le passività sono debiti. Uno apre lo stato patrimoniale dell’Inter e legge 958 milioni di passivo ma non tutto il passivo è debito: contiene anche i fondi per assorbire rischi di passività future, le somme dovute ai fornitori per dilazioni concordate o ai dipendenti per gli stipendi del mese successivo. Cioè modalità per rimandare uscite finanziarie compensate, all’attivo, da dilazioni concesse, per esempio, ai clienti. La differenza tra somme che ci si aspetta di ricevere nel breve periodo per lo svolgimento dell’attività caratteristica e quelle che ci si è impegnati a pagare si chiama capitale circolante netto. Il debito vero è di natura finanziaria: si contrae verso banche, obbligazionisti o azionisti che finanziano la società con prestiti anziché con capitale, tutto al netto delle disponibilità di cassa.

Il debito come forma di finanziamento

La differenza è logica, non terminologica. Il debito è una forma di finanziamento con cui gli azionisti scelgono di alimentare l’impresa, anziché mettere i propri capitali. Perché non li hanno, oppure perché trovarli è dura se remunerare il capitale azionario costa più degli interessi. Nel caso dell’Inter parliamo di quasi 400 milioni. Non pochi, se rapportati a 439 di ricavi (un rapporto quasi unitario) e con interessi per quasi 50 milioni annui, liquidità drenata ogni anno dalla gestione. Però anche il volume di certe passività può segnalare uno stato di crisi: ad esempio, i debiti tributari possono rivelare una difficoltà a finanziarsi tamponata tatticamente col rinvio del pagamento delle tasse. Così anche debiti troppo alti verso fornitori, ancorché non finanziari, possono segnalare malessere. Altri confondono i debiti della società con quelli del piano di sopra, cioè dell’azionista: è il caso dei 300 milioni che Zhang deve a Oaktree. Si sommano a quelli del club, ma su livelli diversi. Non sempre il debito è nocivo: può essere un modo di finanziare il business ma superando livelli di guardia causa tensioni che limitano le scelte del management.

Il debito aumenta il rischio

Di sicuro, il debito aumenta il rischio, costringendo gli azionisti a cercare rendimenti del capitale più elevati per remunerare la rischiosità conseguente alle scelte ingessate che il debito impone. Il debito penalizza anche le valutazioni perché chiunque voglia acquisire la società deve ponderare il ritorno sull’investimento in base a coefficienti più alti. È il motivo per cui la proprietà interista fatica a vendere il club, quella romanista faticherà a trovare un’uscita soddisfacente. Se erano questi i bersagli di Gasp sono stati centrati, pure con l’uso di termini poco tecnici, ma puntare il dito sui debiti altrui è poco costruttivo così come lamentare la differenza di ricavi tra grandi e piccole. Per numeri l’Atalanta è stabilmente, da anni, nella élite della Serie A. Il calcio in generale dovrebbe trovare unità nel rispetto delle regole comuni e questo richiama la necessità di un law and order più rigoroso. La sensazione che alcuni sfuggano a regole troppo leggere non aiuta la credibilità del sistema.

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