Lazio, un'altra sconfitta in campo e fuori

L’allarme suonato in Spagna il 22 dicembre scorso nell’ultima amichevole di preparazione (0-2 contro il modesto Almeria) ha avuto un seguito alla ripresa del campionato nonostante il rientro di Immobile. Nemmeno lo splendido gol di Ciro dopo un quarto d’ora ha aiutato la squadra a ripartire con il piede giusto.

E ancora una volta, dopo questa pesante sconfitta (6 punti nelle ultime 5 partite), la sensazione è che la Lazio, a prescindere da chi la allena, dipenda sempre dagli unici tre giocatori che fanno la differenza: il capitano, appunto, Milinkovic e Luis Alberto.

Il primo ha fatto il suo dovere, due occasioni e un gol, il secondo non si è proprio presentato in campo e il terzo è stato lasciato a casa al termine di un’altra settimana da incubo a cui ormai siamo abituati da anni. Ogni volta che non si sente al centro del progetto, il Mago scompare: in passato Inzaghi e l’esautorato Peruzzi cercavano di mediare e sopportavano gli atteggiamenti dello spagnolo da cui poi ottenevano il massimo in campo.

Sarri, che è un sergente di ferro, invece si disinteressa di un problema che ha ereditato e che nessuno sembra in grado di risolvere, perché il ds Tare e il tecnico non si amano, non si stimano e non collaborano e perché Lotito è ormai un senatore a tempo pieno e non più il presidente della Lazio, come sussurrano i suoi collaboratori più stretti. E le conseguenze si vedono, perché Mau vuole occuparsi solo delle vicende del campo e non ha nessuna intenzione di mettere bocca nei rapporti tra le parti.

E così non esiste più un mediatore tra giocatori e società, che nel momento decisivo della stagione dovrà risolvere non solo il caso Luis Alberto ma anche decidere il futuro di Milinkovic prima che si liberi tra un anno a parametro zero causando, eventualmente, un grave danno economico a un club che non ha disponibilità economiche e un indice di liquidità sempre sotto zero. Lo stato confusionale collettivo è dimostrato anche dall’errore sulla sostituzione di Milinkovic, denunciato proprio dal tecnico: doveva uscire il modestissimo Basic e non il serbo ma nessuno è intervenuto in tempo.

Anche Sarri, come in precedenza Inzaghi, avrebbe bisogno di Immobile, di Sergej e del Mago al massimo della condizione, per dare qualità a un gioco che non necessita soltanto di ritmo e di corsa. La differenza, alla fine, la fanno i giocatori e per ora anche gli ultimi investimenti non sembrano fruttare molto: da Basic a Vecino, da Marcos Antonio a Cancellieri, fanno tutti fatica a emergere quando il collettivo, come a Torino e a Lecce, non funziona. E così vanno in barca anche Casale e Romagnoli, gli unici in grado di emergere tra gli ultimi arrivati.

Il gol di Immobile sembrava aver aperto la strada alla Lazio per un successo che l’avrebbe mantenuta tra le prime quattro, in zona Champions, invece Mau non si è accorto che il ritmo degli stava salendo a livelli altissimi e che Pedro e Milinkovic non avevano più la condizione fisica per restare in campo dopo l’intervallo. Tardive le due sostituzioni con Felipe e Vecino: dopo il pareggio di Strefezza, non c’è più stato confronto tra le due squadre tanto che Baroni ha raddoppiato con il baby Colombo, un’altra delle grandi intuizioni del ds Corvino, che ha costruito una squadra da salvezza con un monte ingaggi complessivo di 6 milioni, cioè poco meno di quanto chiede il solo Sergej per accettare un’altra destinazione. Sarri continua a parlare di problemi mentali e di difetti di concentrazione ma la vera preoccupazione è che anche il 4 gennaio, come il 13 novembre scorso, la Lazio ha smesso di correre dopo mezz’ora.

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