Lazio, una sfida oltre i limiti

Se qualcuno avesse ancora dubbi delle qualità di Sarri – e in un Paese di sedicenti allenatori ce ne sono ancora tanti – basterebbe a fugarli la più brutta gara della Lazio in campionato. Poiché la sconfitta con il Milan è l’esibizione plateale dei limiti della rosa a disposizione del tecnico tosco-campano. E cioè in primo luogo: l’assenza di un centravanti di rincalzo, che ha indotto ieri il tecnico ad azzardare per ottanta minuti un inguardabile Immobile, e l’assenza strutturale di un regista di ruolo, che lo ha costretto a far leva ora su Cataldi, peraltro il più adatto, ora su Vecino, in realtà più mezzala che regista, e ieri, in assenza dei primi due, su Marcos Antonio, regista sì, ma inadeguato per una squadra che punti al vertice. Non solo perché un regista di livello non perderebbe palla sull’appoggio verticale, quando si trova spalle alla porta, come è accaduto in occasione del primo gol del Milan. Ma soprattutto perché il piccolo brasiliano non ha la visione, la rapidità, la personalità per illuminare la manovra di una squadra che pure dovrebbe avere nella ripartenza uno dei suoi punti di forza, potendo contare su contropiedisti veloci, come Zaccagni e lo stesso Felipe Anderson, tornato nel suo ruolo più congeniale di esterno destro. Trovarsi a quattro giornate dalla fine a 64 punti, davanti alla Juve, all’Inter, al Milan e alla Roma, è un miracolo. Frutto della pedagogia tattica di Sarri, che implica la ripartenza dal basso, il palleggio tra i lati mobili di un triangolo che avanza sovrapponendo un vertice all’altro, e le veloci verticalizzazioni che, nei tempi migliori, trovavano Immobile pronto a sfruttarle, e che oggi si tentano assai meno.
Quest’architettura tattica funziona se il palleggio è veloce, se il vertice più avanzato del triangolo è in grado di fare movimento e smarcarsi, liberando sé o i compagni al tiro, e se la squadra resta corta. Se invece accade l’esatto contrario, cioè se il palleggio è lento e prevedibile, se il vertice più avanzato del triangolo è Immobile nel senso letterale della parola, se la capacità di recupero della squadra si riduce, e tra il giocatore più arretrato e quello più avanzato si allunga la distanza, allora il gioco di Sarri diventa un handicap. Soprattutto se ti accade di giocare contro un Milan che, quando il campo si allunga, dà il meglio di sé, passando tra le linee e affondando in percussione sulle fasce, grazie a un prorompente Hernandez.
Il suo gol, quello che di fatto chiude la partita, è frutto di un’ingenuità difensiva della Lazio, che arretra sulla galoppata del francese rinunciando a chiudergli la strada, ma anche di una furbizia di Giroud che s’interpone tra Marusic e la direzione di corsa del compagno, impedendo all’esterno laziale il cambio di marcia che ancora potrebbe impedire il tiro. I due gol incassati sono, per una squadra che ha avuto a lungo la miglior difesa del campionato, e che tuttora è la seconda con ventisei reti subite dietro il Napoli, la prova che la caduta della condizione atletica sotto una soglia di tollerabilità fa il modulo di Sarri insostenibile. Ma questo non vuol dire che la colpa sia del modulo. Piuttosto è dell’insufficiente livello agonistico e tecnico della squadra schierabile.
Se metti in conto che alla Lazio per tre quarti del campionato sono mancati i gol di Immobile, che dal rientro dal mondiale Milinkovic è apparso quasi sempre al di sotto di una condizione accettabile, fatte eccezione per le gare con il Milan e la Juve, che gli infortuni hanno ridotto all’osso l’agibilità della panchina, il secondo posto è un traguardo di molto superiore alle possibilità. Da difendere con i denti nelle quattro gare che restano, a cominciare da quella in casa contro un Lecce che giocherà all’arma bianca per raggiungere la salvezza, per seguire con la trasferta di Udine, la Cremonese all’Olimpico e la chiusura a Empoli. Un calendario non proibitivo sulla carta, ma che impone di ritrovare in tempi rapidi una condizione atletica ieri del tutto assente. E che forse può suggerire a Sarri una prudenza tattica maggiormente consapevole dei limiti che la sua Lazio in questo momento è costretta ad affrontare. Poi, quando la Champions fosse assicurata, varrebbe la pena di sedersi a tavolino e dirsi le cose come stanno. Nessuna squadra di vertice può disputare un campionato con una rosa così.

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