L’ambasciatore italiano a Doha: “Noi, protagonisti del Qatar che corre”

Dal piano 23 di un grattacielo di Doha puoi capire meglio, come davanti a un plastico, le contraddizioni di una città-cantiere: strade a larga percorrenza alternate a vicoli senza elettricità, palazzi di lusso che a breve distanza lasciano il posto ad abitazioni più austere, tutte di colore bianco. L’ambasciata italiana ha stabilito da qualche anno la sua sede nell’Alfardan Office Tower, che è un edificio riservato alle grandi aziende più che alle rappresentanze diplomatiche. Per trovarla devi chiedere informazioni, che in Qatar tutti forniscono in fretta di fronte al visitatore smarrito, perché la classica bandiera esposta fuori dalla finestra non c’è. Non ancora almeno. L’efficienza del servizio è comunque perfetta: un usciere ti accompagna fino all’ascensore, mentre un sorridente carabiniere ti accoglie all’ingresso in territorio italiano. Perfetta è anche la puntualità dell’ambasciatore Paolo Toschi, 47 anni, ferrarese, che si è trovato al posto giusto al momento giusto: è entrato in carica il 17 ottobre, un mese prima dell’inizio del Mondiale.

Come sta vivendo il torneo da ambasciatore appena insediato?
«Come un appuntamento storico, per il Qatar ma anche per l’Italia, che è un partner di questo Paese. E’ una sfida affascinante che sul piano organizzativo sta funzionando bene, almeno finora».

L’Italia ha fornito un contingente militare per la sicurezza, investendo quasi 11 milioni di euro.
«Era doveroso per noi partecipare ai lavori sulla sicurezza. Anche se non siamo presenti con la squadra, purtroppo, riusciamo almeno a essere avvertiti come protagonisti per il ruolo che abbiamo avuto nella sicurezza e nelle infrastrutture».

Si spieghi meglio.
«Il mio ufficio stampa Enrico Massa mi ha fatto notare che nella serata inaugurale siamo andati in uno stadio, l’Al Bayt, che è stato costruito da italiani, su una metropolitana in cui c’è stato un investimento italiano, in una cerimonia ideata da un italiano, in una partita diretta da un arbitro italiano. Poteva andare peggio, dai. C’è simpatia per gli italiani, lo percepisco. Manchiamo anche noi al Mondiale, non solo il Mondiale a noi».

Avete misurato il danno economico della mancata presenza della Nazionale in Qatar?
«No, non ancora. E’ innegabile che ci sia, ma non ha neanche molto senso star lì a rimuginare. Speriamo che sia l’ultima volta con l’Italia fuori e godiamoci questo Mondiale che ha avuto un inizio molto dinamico».

Per chi tifa, in assenza dell’Italia?
«Da ospite, non posso che sostenere il Qatar che ha cominciato il torneo in modo poco felice. So che avevano lavorato duro per arrivare pronti al debutto. Tifo per loro anche perché ci sono degli italiani che lavorano nel settore».

Tra questi Valter Di Salvo, preparatore atletico, diventato direttore del suo dipartimento all’Aspire Academy, dove il Qatar alleva i talenti del futuro. Di Salvo a parte, quanti italiani vivono in Qatar?
«Circa 2.500. E stanno aumentando. La maggior parte di loro lavora per le aziende italiane che hanno affari qui: energia, finanza, difesa, servizi. Ma ci sono anche i ristoratori: se girate la città scoprirete almeno 20 posti che non vi faranno sentire la nostalgia di casa. Si vedono anche le partite».

Lei li frequenta?
«Io preferisco essere negli stadi, con la mia famiglia, per capire come sia vissuto questo Mondiale. Non potevamo aspettarci un numero di tifosi paragonabile a un Paese di dimensioni diverse. Ma è bello vedere gli stadi pieni».

Forse dipende anche dalle polemiche internazionali sul Qatar.
«Non sono io a dover giudicare. Credo sia però importante conoscere questo Paese per capirlo fino in fondo: il Qatar è in grande crescita e sta cercando unità, come confermano le feste per la vittoria dell’Arabia Saudita, non conflitti»


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