La strategia della Roma: vincere subito

Dato che a forza di sentirla ripetere negli slogan e di vederla innalzare sui gonfaloni la parola progetto è venuta profondamente a nausea, non dispiace scoprire che sta nascendo una Roma senza capo né coda, ma con tanto corpo. Con radici forti nell’oggi e senza la frenesia di guardare al futuro a medio termine. Come ha dimostrato la festa itinerante dietro il corteo della Conference League, di ascoltare i racconti del sol dell’avvenire i tifosi hanno lo stomaco pieno. Dan Friedkin infatti non ne parla tanto, anche perché non parla affatto. Le azioni indicano che non ha voglia di invecchiare aspettando che capiti qualcosa. Esattamente così lo presentavano le corrispondenze più informate pervenute dagli Stati Uniti al momento del cambio di proprietà.

Forse è eccessivo definire la Roma di quest’anno un instant team. È di sicuro una squadra che ha poco tempo per consegnare risultati. Anzi, l’orizzonte degli eventi potrebbe essere addirittura di una sola stagione. A parte le promozioni dei vari giovani leoni in grado di superare i riti di passaggio pretesi da Mourinho, il salto di qualità a centrocampo s’incarna in Nemanja Matic, che (auguri) lunedì compirà 34 anni, e probabilmente in Georginio Wijnaldum, 32 a novembre. Nessun problema: esperienza e forza resistente, qualità che il tempo consolida, sono caratteristiche che il campionato italiano sa esaltare e va a cercare.  
Dopodiché bisogna prendere in considerazione altre scadenze indipendenti dalle leggi della natura. Sul contratto di Tammy Abraham insiste il diritto di riacquisto concesso al Chelsea per la fine di questa stagione. L’accordo con Dybala prevede una clausola risolutoria: dà alla Roma ampia facoltà d’intervento, ma la possibilità che l’argentino resti solo fino alla prossima estate c’è. Si aggiunga la vicenda Zaniolo in continuo sviluppo. Anche se non viene ceduto in questa sessione di mercato, è difficile pensare che ammiccamenti, telefonate e corteggiamenti non tornino d’attualità nelle prossime.

Friedkin e i suoi stanno scommettendo sul successo immediato di una formazione che nella sua forma attuale potrebbe durare una stagione o poco di più. Ma, appunto, si tratta di una scommessa ragionevole, non di un tuffo nell’ignoto. Nella peggiore delle ipotesi, quella di una partenza contemporanea di Abraham e Dybala, entrerebbero cento milioni di risorse reinvestibili in un ulteriore e prezioso rinnovamento. Intanto, si massimizza la chance di portarsi a casa altro materiale da bacheca, magari un’Europa League, la qualificazione alla Champions e, perché mutilarsi da soli la speranza? pure qualcosa di più in campionato. 
È la cultura industriale del gruppo Friedkin a marcare la differenza. L’attuale proprietà della Roma ha colto un punto che a James Pallotta, con tutti i suoi meriti, sembra essere sfuggito: oggi è quasi impossibile accrescere in modo strutturale gli introiti di un club senza imporne la visibilità attraverso i successi. Vincere e crescere si prendono per mano e procedono insieme. Là dentro la pensano così e per questo non stanno badando troppo a spese né a età dei giocatori. Che la fortuna li aiuti: una Roma (come una Lazio, come un Napoli) in salute fa bene a tutto il nostro calcio depresso.

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