La Spagna e Luis Enrique, tiqui taca vivente

La sua vita è un tiqui taca. Sì, perché per mal che vada Luis Enrique l’attraversa così, in silenzioso palleggio, un piede davanti all’altro, nell’assoluta convinzione di andare nella direzione migliore qualsiasi essa sia, anche quando riporta al punto di partenza. Poi d’improvviso si gira, salta l’uomo, va in porta. Una volta, sette volte come la sua Spagna che adesso è la nave fantasma del Mondiale, terrore dei mari. 

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Così, con quei ritmi di uomo tranquillo a cui è meglio non stare intorno se perde la pazienza, quando guidava il Barcellona ha sistemato la pratica Messi. Stimolando Leo, blandendolo, difendendolo se necessario e alla fine dicendogli chiaro: amico mio, o ti metti a giocare a destra o fai un altro pezzo di strada e ti siedi in panchina. Messi, che più di altri sa come funziona il mondo, gli ha dato retta. Nel 2015 hanno vinto insieme la Champions battendo in finale la Juventus e Luis Enrique ne ha approfittato per salutare i tifosi della Roma, insieme con sanguigna ironia e placido affetto. 

Tutto sommato, in Italia gli avevano voluto bene. Anche se un po’ spiazzava pesentandosi al campo con un computer sotto il braccio e alle spalle un assistente che prendeva fitti appunti su un altro. Pretendeva di trapiantare da noi ciò che aveva imparato nel Barcellona B come tecnico e da entrambe le grandi di Spagna da giocatore: tecnica, stile, organizzazione, ricerca.  

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Troppo giovane per arrendersi all’evidenza. Uscì ai playoff di Europa League e Totti, inizialmente fatto fuori, lo soprannominò Zichichi, come uno scienziato celebre. Ma Luis Enrique è più un tipo alla francese, il professor Tornasole, svanito e bizzarro eppure con l’intuizione illuminante in tasca. Fragile, forse: se n’è andato da Roma per disperazione, ha mollato il Barcellona per stanchezza psicologica. E ha dovuto lasciare la Spagna dopo un anno nel 2019. Gli stava morendo una figlia. In seguito è tornato, tenendosi in petto il dolore come i fragili non possono fare. Ora distribuisce consigli esistenziali e di alimentazione sui social. Magari vincerà il Mondiale, magari no. Ma ha trainato la Spagna fuori dalla foschia degli ultimi dieci anni. Serve pazienza con chi vive a ritmi di tiqui taca

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