La seconda vita di Chamot: “La fede mi ha cambiato la vita. Sogno di allenare in Italia”

Tra i banchi con Pirlo

(Photo by Lucas Uebel/Getty Images)

Lazio, Milan e Argentina. Zeman, Ancelotti e Bielsa. Calcio, pesca e canto. Il numero tre che ritorna, quello biblicamente perfetto che José Chamot ha portato sempre nel cuore e sulle spalle nel corso della sua carriera: al Pisa, alla Lazio, al Rosario Central e con la sua Argentina ovviamente. Il Mondiale vinto da Maradona nell’86’ lo ha spinto a fare il calciatore. La scoperta di Dio in un momento difficile della sua vita ha dato un senso a tutto e lo continua a dare. Oggi Chamot è un uomo felice con la sua numerosa famiglia e un credente in pace con se stesso che, nei lunghi pomeriggi sulle rive del fiume Paranà, pesca, canta e sogna di vivere un’altra avventura nel nostro Paese e nel nostro calcio. José aspetta solamente che arrivi il momento giusto, quello che dall’alto hanno già scelto per lui, come è già accaduto in passato.

José, lei ha intrapreso la carriera di allenatore: come va questo suo nuovo percorso?
Noi ex calciatori non sappiamo fare altro che stare sul terreno di gioco. Io ho cominciato a giocare fin da piccolo e ho passato tutta la mia vita nel calcio. Purtroppo chi diventa giocatore spesso non finisce gli studi e allora dopo il ritiro bisogna reinventarsi. Io ho cercato di restare nel calcio. Ho finito la carriera in Argentina al Rosario Central e ho deciso di fare l’allenatore. Ho seguito il corso qui, poi ho fatto qualche viaggio in Italia per parlare con Ancelotti e Zeman. Qui a Rosario ho avuto il piacere di andare a trovare Bielsa a casa sua. Sono grandi persone e grandi allenatori, mi hanno dato tanto dal punto di vista umano.

Che cosa le ha insegnato Zeman?
Ho conosciuto Zeman ai tempi del Foggia. Mi è piaciuto il suo modo di lavorare, la sua personalità, come comunicava ciò che voleva ai suoi giocatori. Ho dato tutto per Zeman. Alla Lazio ci è mancato qualcosa, siamo arrivati vicini all’obiettivo, ma non abbiamo vinto. Il mister ci faceva sudare in allenamento, ma in partita ci divertivamo. Quando si è ben allenati, giocare è un piacere. Mi è sempre piaciuto essere ben allenato: per questo motivo mi trovavo bene con Zeman. Oggi io e il mister siamo ancora grandi amici.

Che cosa ha apprezzato di Ancelotti invece?
La sua sincerità e la sua mentalità, poi come studiava i calciatori. Carlo conosceva le qualità di ognuno di loro e sapeva metterle insieme. Così ha trovato la coppia Pirlo-Gattuso: schierare il primo davanti alla difesa al fianco del secondo è stata una mossa sorprendente, così entrambi hanno vinto il Mondiale. Purtroppo Ancelotti ha dovuto prendere alcune decisioni contro di me: negli ultimi tempi al Milan avevo problemi ai tendini e ho giocato poco, ma ho accettato le scelte del mister. Ancelotti è stato sincero con me. I calciatori sono tanti, non si possono dire bugie: un allenatore deve essere sincero e realista sempre.

Che allenatore è Bielsa? In che senso è ‘Loco’?
È un insegnante di calcio che forma i suoi giocatori, mi piace la sua lealtà nei confronti della squadra. Mi ha fatto imparare tante cose a 34 anni. Abbiamo fatto insieme il Mondiale 2002: io non avevo giocato le qualificazioni al torneo perché avevo problemi coi tendini. Bielsa mi aveva consigliato di restare al Milan per recuperare dai problemi fisici e alla fine mi ha portato al Mondiale anche se avevo giocato poco. Se Bielsa dice ‘due’ intende ‘due’: né ‘uno’ né tre. È una persona molto rispettosa. Come tecnico ha le sue idee condivisibili o meno. A me piace come allena e come trasmette il suo pensiero ai suoi giocatori.

Mandatory Credit: Michael Steele /Allsport

Che esperienze ha vissuto in panchina finora?
Ho scelto di formarmi come allenatore. All’inizio ho fatto il secondo al Rosario Central e al River Plate con Matias Almeyda. Al Rosario Central sono stato anche responsabile del settore giovanile, ho allenato la Primavera e poi ho guidato anche la prima squadra. Ho accettato la proposta del Libertad in Paraguay ed è andata molto bene: abbiamo vinto la Coppa nazionale e siamo arrivati secondi in campionato. È stata un’esperienza molto speciale. Adesso aspetto un’altra opportunità. Voglio continuare ad allenare.

Le piacerebbe allenare in Italia? Lei ha studiato a Coverciano con Pirlo…
È stato un corso molto interessante. Ho avuto ottimi compagni di banco, gente come Batistuta. C’era anche Andrea Pirlo. Ognuno deve restare se stesso: a me non piace somigliare a qualcuno. Io voglio essere José Chamot. È importante avere la propria identità. La strada è lunga e bisogna imparare tanto. Mi piacerebbe allenare in Italia, ma bisogna lavorare per arrivare a certi livelli. Se ci sarà la possibilità di farlo lo sa Dio: tutto è nelle sue mani. Bisogna pregare e aspettare i momenti di Dio per tutte le cose.

Pirlo ha cominciato ad allenare dalla Juve, subito dall’alto: che cosa ne pensa?
Tanti hanno iniziato a fare gli allenatori subito dall’alto: anche Almeyda ha finito di giocare col River, poi ha preso in mano la prima squadra accettando una sfida molto grande. Sensini ha fatto lo stesso. Loro due hanno avuto subito la possibilità di allenare e hanno preso al volo l’occasione che gli è stata data.

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