La nuova Superlega può essere una grande opportunità

Il comunicato diffuso ieri segna, di fatto, la nascita della nuova Superlega. Se avrà miglior fortuna della vecchia dipenderà da molte cose, a cominciare dal giudizio pendente presso la Corte di Giustizia UE, ma già la nomina del CEO Bernd Reichart lo scorso ottobre, A22 Sports Management era un messaggio forte lanciato alla geopolitica del calcio. Reichart viene dall’industria dei media (una lunga carriera nei canali Vox e RTL) e dal mercato tedesco che non aveva aderito alla prima versione del format.

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Sostenibilità e meritocrazia nel nuovo progetto

Dunque, A22 Sports si propone come il concorrente alternativo all’Uefa. Vuole trovarsi pronta, nel caso in cui arrivi una pronuncia che sanzioni l’abuso di posizione dominante dell’organizzazione svizzera sul mercato del calcio europeo. Da tutta la comunicazione degli ultimi mesi, perfino la parola Superlega è bandita: si parla di dialogo, condivisione, sostenibilità e meritocrazia per riavvolgere il nastro e cancellare i punti deboli per causa dei quali il vecchio format si era consegnato al rigetto generale. Con l’apertura della competizione a 60-80 club (non più 20) si punta ad allargare il bacino del consenso. Si sa, l’Uefa è organizzazione politica in cui il voto delle piccole federazioni vale quanto quello dei grandi mercati. Distribuisce le risorse raccolte con un meccanismo complesso, mirato a mantenere in equilibrio il consenso che mantiene il vertice della piramide. Inevitabilmente, l’ecumenismo politico scontenta però i grandi club che si sentono svantaggiati dalla sperequazione tra gli investimenti da sostenere per gestire rose costose e l’eccessivo egalitarismo della distribuzione. In realtà, il meccanismo degli incentivi Uefa ha poi finito per accentuare la distanza tra grandi e piccoli club ma questo è anche il prodotto della diversa capacità delle leghe nazionali di attrarre pubblico. Così oggi l’Uefa scontenta grandi e piccoli, tanto da correre ai ripari annunciando nuove formule della Champions utili solo ad allargare la base della piramide.

Il problema inglese

A22 deve quadrare un’equazione a molte incognite. Con l’apertura a 60-80 squadre e il riferimento alla meritocrazia, cerca di conquistare la fascia dei club (e dei Paesi) esclusi dal progetto iniziale. Col richiamo alla sostenibilità e a limiti ancora più stringenti sui costi delle rose – in rapporto ai ricavi – lancia un messaggio ai virtuosi, soprattutto i tedeschi. Con la promessa di allargare la torta dei ricavi vuole tenere agganciati i top club al progetto. Con la tutela dei campionati nazionali spera di vincere la resistenza degli inglesi, attenti a preservare il dominio della Premier. Infine, la promessa di un contributo di solidarietà per i club non partecipanti serve a sottrarre all’Uefa l’arma della salvaguardia democratica e della funzione sociale. A22 si richiama costantemente ai valori dell’Unione Europea, alle regole di tutela dei consumatori e di trasparenza del mercato: chiaro messaggio ai decisori della madre di tutte le battaglie legali che si combatte in Lussemburgo ma anche una velata risposta alla scarsa trasparenza di cui l’Uefa viene accusata. Per il mercato del calcio è una grande opportunità. Se la Corte UE aprirà la competizione, può nascere un serio concorrente dell’Uefa e prospetterebbe un vantaggio per tutti. L’Uefa potrebbe mantenere il suo ruolo di regolatore, cedendo a un soggetto economico più efficiente quello di imprenditore. Rinunciando così a un conflitto di interessi che non fa il bene del calcio.

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