La moglie, gli amici e Zaza: Morata è diventato uomo a Torino e giocò una finale con Pirlo…

Allegri l’ha fatto crescere, con Alice ha trovato l’amore: arrivò scapolo, tornerà con i gemelli e il terzogenito in arrivo

Lasciò la Juve perché a Torino era andato troppo bene. Ventisette gol e 16 assist in due stagioni, reti pesanti in momenti chiave, in Champions e non solo: impossibile per il Real non esercitare la “recompra”, clausola che da noi divenne famosa con lui e che qualche anno dopo, diventata strumento di plusvalenze e mezzuccio per chiudere i bilanci, fu abolita. Lasciò Torino senza poter esprimere quella che in fondo viveva come una delusione: andava al Real, sarebbe stata poco comprensibile. Lasciò con quel messaggio pieno d’amore e promesse di juventinità eterna. Ok, sono parole che si scrivono, a volte si pensano, spesso si dimenticano. Nel caso di Alvaro Morata, però, erano reali. E ora può tornare a sentirsi juventino davvero. In quell’estate 2016 Chiellini disse: “Non vedo come non possa giocare nel Real per dieci anni, ha doti incredibili”.

IN CITTA’

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Restò una sola annata, vissuta alle spalle, quasi nell’ombra, di una BBC (Bale-Benzema-Cristiano) allora intoccabile. Fece comunque 20 gol, in meno di 2000’, abbastanza per tornare a infiammare il mercato. Poi Chelsea e Atletico, senza ritrovare mai la magia. Quella era rimasta a Torino: il Morata migliore è stato bianconero. E Alvaro mai, raccontano, si è sentito a suo agio come in quel biennio, in cui diventò giocatore vero (da riserva del Real, seppur premiata dalla “Decima”) e in cui costruì le basi della sua vita “adulta”. Arrivò in Italia da giovane scapolo si piazzò in centro a Torino, ospitò a lungo un amico con cui si divertiva ad andare sui kart. Fece la fortuna di un ristretto numero di ristoranti che lo nutrivano, e di un tifoso che, visto entrare in birreria con la sua maglia, fu invitato a cena e ne rimediò un’altra firmata. Divenne “fratello” di Zaza, che ritroverà “cugino”. Ma nel periodo sotto la Mole ci fu soprattutto l’incontro con Alice Campello: in realtà la conobbe a Milano in una serata di “moda” e poi la sposò a Venezia, ma il periodo era quello. Tornerà in città con lei, incinta del terzo figlio (i primi due sono gemelli).

IN CAMPO

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Fuori dal campo, insomma, si trovò bene. Dentro, pure. La sua miglior stagione resta la prima (con Pirlo compagno), in cui prese il posto a Llorente e non lo lasciò più, fino alla finale di Berlino, timbrata con il gol del momentaneo pareggio. Allegri lo lanciò e lo pungolò con una certa costanza: non appena lo vedeva calare di intensità o concentrazione, scattava l’urlo. Funzionò eccome, tanto che Alvaro in Europa segnò 5 gol, tutti dagli ottavi in poi, finendo nella squadra ideale del torneo. Nel secondo anno partì da inamovibile, e finì col perdere terreno a favore dell’emergente Dybala. Sono però di quel 2015-16 due dei momenti più alti del Morata bianconero: il primo è legato a una dolorosa eliminazione, contro il Bayern di Guardiola. Alvaro giocò una partite enorme: l’azione del 2-0 lo vide partire dalla sua trequarti, saltare o evitare Alaba, Benatia, Kimmich, Lahm e Vidal e dare l’assist d’esterno a Cuadrado. Uscì al minuto 72, dal 73’ il Bayern segnò due gol, quattro compresi i 30’ supplementari. Nell’extra-time segnò invece in finale di coppa Italia (secondo momento): partiva in panchina, finì con la coppa. Si può ricominciare da lì.

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