La medaglia tolta dal collo: un problema inglese e del calcio

Domenica a Wembley come il Manchester United battuto dal Villarreal. Una brutta abitudine ripetuta dagli uomini di Southgate dopo il k.o. con l’Italia e condannata sui social

Dal nostro corrispondente Stefano Boldrini

13 luglio – Londra

Prima domanda, semplice semplice: quante volte, in eventi come Olimpiadi o tornei continentali, un atleta ha rifiutato la medaglia, rimuovendola immediatamente dal collo, quasi con disprezzo? C’è l’episodio limite della pugile indiana Sarita Devi, terza nei pesi leggeri ai Giochi Asiatici del 2014, che per protesta contro il verdetto della giuria che l’aveva esclusa dalla finale ripudiò il bronzo sul podio. Ci sono poi i casi di coloro che, squalificati per doping, non hanno accettato di restituire la medaglia. È accaduto con la giavellottista Maria Abakumova, argento a Pechino; con Irina Korzhanenko, oro nel peso ad Atene 2004; con lo statunitense Jerome Young, oro nella 4×400 a Sydney 2000. Seconda domanda: qual è lo sport in cui vediamo sempre più spesso gli atleti rifiutare la medaglia d’argento, con un gesto rabbioso, quasi schifato? Risposta: il calcio.

PROBLEMA CALCIO

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La questione è tornata d’attualità in queste ore, dopo la premiazione dell’Europeo. Una buona parte dei giocatori dell’Inghilterra, da sempre considerata nazione-faro della sportività e del fair play, ha trattato la medaglia con disprezzo. Ci sono state le eccezioni – Pickford, Maguire, Mings, Henderson, Phillips, Saka, Sterling, Johnstone, Ramsdale -, ma la maggioranza l’ha subito rimossa dal collo. I tifosi hanno criticato il gesto sui social, usando i termini “irrispettosi” e “antisportivi”, ma la verità è che c’è stato un precedente recente e risale alla premiazione della finale di Europa League, vinta dal Villarreal e persa dal Manchester United. In entrambi i casi, lo United e l’Inghilterra erano considerati i favoriti: nel caso dei Red Devils per l’evidente divario di risorse finanziarie e di campioni rispetto al club spagnolo, mentre nell’ultimo atto di Wembley l’Inghilterra, sorretta dal pubblico di casa e reduce da un cammino trionfale, era indicata come sicura vincitrice.

ECCEZIONI

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Ci sono le eccezioni. A parte il caso di Matteo Berrettini dopo la premiazione di Wimbledon, primo italiano della storia a raggiungere la finale del più importante torneo sull’erba, c’è l’esempio di Pep Guardiola, icona del calcio moderno, inquadrato dalle telecamere nel gesto del bacio alla medaglia dopo la sconfitta del suo Manchester City, superato a Porto dal Chelsea. Comportarsi da signori quando si vince è facile. È più difficile quando si perde. Luis Enrique, c.t. della Spagna, è stato un gigante dopo il k.o. della sua squadra contro l’Italia.

CASO INGHILTERRA

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Le considerazioni finali sono due. La prima: il “problema” riguarda essenzialmente il calcio, mondo dove pressione, business e star system fanno vacillare o brutalizzano il concetto della dignità della sconfitta e del rispetto. La seconda: non esistono più gli atleti inglesi di una volta. Il famoso fair play sta passando di moda. Con una morale di fondo: abituati storicamente a vincere guerre e gare sportive, gli inglesi faticano a accettare i k.o. E il clima di esaltazione nazionalista post Brexit ha solo peggiorato le cose.

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