Così oggi inizierà il pippone degli investimenti nei settori giovanili e dei troppi stranieri. Due fake news. I club italiani investono in media 4,6 milioni nei settori giovanili, quelli spagnoli 3,4 e quelli francesi 4,7 (dati Report Uefa). Gli stranieri in Serie A rappresentano il 63,4%, in Ligue 1 il 59,4%, in Premier il 67.5%. Ma quindi, se investiamo nei settori giovanili e abbiamo un numero di stranieri in media con gli altri campionati, perché non produciamo più i Totti, i Del Piero, i Pirlo e i Cannavaro? Perché i nostri talenti vengono inghiottiti da un buco nero che dalla Primavera non riesce più a dare continuità di alto livello ai nostri giovani che si disperdono nella diaspora dei prestiti, che faticano a trovare spazio perché non abbastanza maturi per il salto di qualità in Serie A, ma anche troppo vecchi per continuare a giocare con i pari età. In Europa hanno risolto il problema con le seconde squadre e se venti giocatori su ventisei dalla Spagna sono passati di lì (da Daniel Carvajal, 63 presenze nel Real Castilla, a Cubarsì, 15 presenze nel Barça B), forse bisognerebbe farsi una domanda.
Poi, ovvio, il problema della crisi del talento non si risolve solo con le seconde squadre (sul cui progetto siamo comunque maledettamente in ritardo), perché esiste anche una crisi vocazionale per il calcio in un Paese dove si gioca sempre meno a pallone nei parchi e negli oratori; le scuole calcio costano un accidente e i genitori sono spaventati dall’ambiente tossico di certi settori giovanili. E infine bisogna domandarsi perché nei settori giovanili (dove investiamo più della Spagna e quanto la Francia) continuino a selezionare i giocatori per peso e altezza, non per il talento e continuino a considerare un obiettivo il successo nei tornei di categoria, quando dovrebbe essere chiaro che l’obiettivo è la formazione di giocatori pronti per la prima squadra e, eventualmente, per la nazionale. Appunto.