La lotta di Lukaku, parole e gol

Intanto, gioca. Oggi a Salerno. Glielo consente il regolamento, che non è né buono né cattivo, solo indifferente, e non fa distinzioni tra giusti e ingiusti, colpevoli e vittime, bianchi, neri e verdi d’invidia. Romelu Lukaku sul vertice esatto dell’Inter con tutto il suo carico emotivo di ricordi dolorosi, riscosse sociali, successi e sconfitte, il latte annacquato dell’infanzia povera e le esibizioni di alto stile nell’abbigliamento del passato prossimo e del presente da protagonista nel gran teatro del calcio. E la rabbia per ciò che il mondo dovrebbe essere e non è, vuoto di estraneità e discriminazioni, scarico da ostilità, denso di emozioni forti ma gentili, in cui ciascuno è sufficiente a sé stesso e non ha bisogno di cercarsi un nemico, un estraneo, un diverso. 

Lukaku è coerente con Romelu e Romelu con Lukaku. Non riesce a lasciarsi alle spalle la stanchezza della sopportazione e fuori delle orecchie le grida di ostilità. Neppure quando quelle grida diventano balbettio selvatico, suoni gutturali di insulto livoroso, espressioni di pura stupidità e potrebbero essere tutto sommato abbandonate al loro vagare inconsulto nello spazio. Non è mai facile sopportare, neppure per i cinici e i santi. Lukaku non è nessuna delle due cose. E poi ha sensibilità per le tracce di odio e sfruttamento, pure se camuffati qui da tifo e altrove da debolezza. Sin da quando era a scuola e se gli insegnanti cercavano colpevoli per qualcosa di indisciplinato trovavano chi indicava lui e diceva: è stato il ragazzone nero. 

Lukaku, il precedente

Dunque, vietato considerarlo esagerato o permaloso. È almeno la seconda volta che in Italia gli scaricano addosso ignoranza rimestata e frustrazioni sedimentate. Prima della serata di Coppa Italia di mercoledì allo Stadium juventino gli era capitato a Cagliari nel 2019, sempre alla trasformazione di un rigore decisivo, e lui il giorno dopo in entrambi i casi si è comportato nello stesso modo, segnalando sui social la sua ira pressoché impotente e invocando l’urgenza di agire da parte delle istituzioni calcistiche. Intorno a lui parole ribollenti, gran pacche virtuali sulle spalle muscolose, garanzie di sostegno, grazie a tutti, ci rivediamo presto o anche no. La differenza sta nel fatto che nel 2019 Lukaku era e rimase vittima e questa volta lo hanno mescolato ai colpevoli: espulso e squalificato per aver risposto alle offese con gesti ampi, ironici e pressoché distaccati, mano alla fronte, dito davanti alle labbra. Rielaborazione di un’esultanza diffusa tra i giovani dell’Anderlecht, traghettata nelle serie maggiori da un suo amico, ripresa da lui con un lieve spostamento di significato: potete ululare quanto volete, non vi vedo e di sicuro non meritate risposta. 

Però poi alla fine della vicenda Lukaku si ritrova solo. Come tutte le vittime trasformate in colpevoli. Come capita spesso a chi riceve il timbro della differenza, della non accettazione, nello sport e in qualsiasi altro vicolo della vita. Non proprio abbandonato, magari. Con Romelu c’è l’Inter, determinata a sostenere incoerenza e iniquità della sanzione ricevuta dal giocatore, anche se per questioni di eleganza e di appigli giuridici ha scelto di non presentare ricorso. Ci sono i tifosi, che da due giorni gli permettono di sfogarsi alla fine degli allenamenti e in più fanno da cassa di risonanza alle sue parole contro le manifestazioni di intolleranza nel calcio: «Spero che questa volta la Lega agisca per davvero perché tutti dovrebbero godersi questo bellissimo gioco. Si fotta il razzismo». Segno che non è poi tutto così inutile. È con lui il suo entourage , che pretendeva punizioni esemplari per i lanciatori di insulti e in parte è stato accontentato. È con lui, chiaro, Simone Inzaghi, che gli dà e gli domanda aiuto inguaiato com’è in campionato. Reintegrare Lukaku come reggente dell’attacco significa sfruttarne la feroce energia repressa e consegnargli un pulpito simbolico anche per la sua battaglia di educazione pubblica. 

E naturalmente è con lui il mondo civilizzato. Quello che sa benissimo come guerra, razzismo e discriminazioni esistano e siano esistiti e li considera malattie non da dimenticare ma da guarire. 

Juve-Inter, giudice sportivo: 3 giornate a Cuadrado, 1 a Lukaku e Handanovic

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