La lezione di Zagallo al calcio di oggi: come far giocare insieme tante stelle e vincere

Prima i campioni, poi gli schemi: nel 1970 mandò in campo Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè, Rivelino e vinse. Ma i suoi campioni sapevano tutti sacrificarsi per la squadra

La sua lezione si riassume in cinque lettere: osare. Mario Jorge Lobo Zagallo era un allenatore che amava l’azzardo, seppur calcolato, che predicava il futebol d’attacco nel solco della miglior tradizione brasileira e, soprattutto, sapeva prendere dall’esperienza vissuta personalmente sul campo quei dettagli che potevano risultare utili anche in panchina. Credeva che il passato dovesse essere una fonte di ispirazione, e non un orpello di cui disfarsi. Non era un rivoluzionario, ma un conservator-progressista: termini che soltanto in apparenza collidono. Lui sapeva cogliere il meglio nelle vicende di ieri e trasportarlo di peso nell’avventura del presente. Lo fece al Mondiale del 1970, quando da commissario tecnico guidò il Brasile alla conquista del terzo titolo non accantonando le idee del suo predecessore Joao Saldanha, e aggiungendovi quanto aveva imparato sul campo durante la meravigliosa avventura vissuta in Svezia nel 1958. 

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