Juve, udienza di tre ore. Il retroscena: Ida Raiola punge Chiné, il motivo

Lo avevamo lasciato sbraitante, il 20 gennaio scorso, mentre sosteneva con veemenza che… «Dietro la Roma! La Juve deve finire dietro la Roma!». E più o meno così – veemente e accorato – lo abbiamo ritrovato ieri. “Armato” di classifica del campionato di Serie A e d’un virtuale pallottoliere dell’afflittività.

Il procuratore federale Giuseppe Chiné ha avuto la parola per primo, come da prassi, dalla presidente della Corte federale d’appello, Ida Raiola, e ha arringato per un’oretta buona (l’udienza, svoltasi in remoto, è stata puntualmente aperta alle 10).

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Ha ribadito, Chiné, la convinzione che l’ex vice presidente Pavel Nedved e gli altri sei membri del Consiglio di amministrazione bianconero non potevano non sapere cosa e come operavano sul mercato i dirigenti apicali del club. Perché il modus operandi ripetuto, perché il sistema reiterato, perché le plusvalenze conclamate… Perché – stringi stringi – visto il ruolo che avevano, dovevano sapere per forza. Ecco.

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