Juve, manca il primo violino: alle radici dell’attacco più anemico del nuovo millennio

Fin qui solo 18 gol in 14 giornate, terza partita in stagione senza reti segnate: non sostituito Cristiano Ronaldo, si è ripartiti da chi c’era già (con un ruolo diverso) senza ripensare una nuova idea dell’attacco

L’immagine simbolo è Alvaro Morata che a cinque minuti dalla fine, con la Juve ancora a secco, esce tra i fischi dell’Allianz Stadium. Certo non ha brillato, anzi. Gode però di reputazione (meritata) di essere un generoso che lavora per gli altri. Ma erano fischi di responsabilità oggettiva, a un attacco che nelle ultime quattro partite – Fiorentina, Lazio, Chelsea, Atalanta – ha segnato su azione solo un gol, quello di Cuadrado (attacco si fa per dire…) nel recupero della partita coi viola.

I NUMERI

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Il pallottoliere aggiornato, anzi non aggiornato dopo la serata in bianco, racconta che le reti segnate dopo 14 giornate sono 18: mai erano stati così pochi nel nuovo millennio, per un dato più basso bisogna tornare al 1999. Quella con l’Atalanta (la difesa più generosa tra le prime cinque in classifica, numeri alla mano) è stata la terza partita stagionale senza gol segnati per la Juventus: la seconda casalinga dopo l’Empoli, la seconda consecutiva dopo il Chelsea. Senza assenze: là davanti non manca nessuno. Semplicemente l’attacco è questo, letteralmente. Ovvero un reparto che ha perso un uomo da 101 gol in tre stagioni (33,7 di media) e lo ha sostituito con Kean e Kaio Jorge. Per il resto, gli stessi uomini di prima: abituati a essere funzionali a un primo violino che oggi non c’è (più).

IL PERSONALE

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È la storia della carriera di Alvaro Morata, i cui anni più prolifici sono stati al servizio di Cristiano Ronaldo, nel 2016-17 e la scorsa stagione. E’ la versione ormai consolidata di Paulo Dybala, che dopo il primo anno alla Juve da prima donna ha sempre avuto (da Higuain a Ronaldo) un altro compagno di alto livello a cui appoggiarsi, a volte esaltandosi in questa veste confermandosi una stella, altre meno. Ed è, in senso diverso, anche il percorso di Federico Chiesa, che non è neanche lui il catalizzatore di quanto prodotto da altri semplicemente perché è una repubblica autonoma che finalizza quello che produce e produce quello che finalizza (ed è in questo, nell’interazione attiva coi compagni, che Allegri ha individuato il suo margine di crescita).

IDEA DI RIPARTENZA

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In una storia gloriosa come quella della Juve, non è e non poteva essere la prima volta in cui ci si è trovati a ripartire dopo l’addio del sole attorno a cui ruota tutto, ma ogni volta pur coi tempi necessari si è riusciti a ripartire su basi diverse: via Vialli e Ravanelli arrivarono Vieri e Zidane, via Vieri arrivò Inzaghi, via Inzaghi e Zidane arrivarono Nedved, Buffon e Thuram. Oppure più di recente via Vidal e Tevez arrivarono Dybala, Pjanic e non solo, via Pogba ecco Higuain. E si potrebbe andare avanti. Stavolta partito Ronaldo non solo non è arrivato il sostituto, ma neanche è stata ridisegnata un’idea di squadra diversa senza di lui che andasse oltre la volontà di ripartire da chi c’era già.

PRIMA LA DIFESA

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Anche comprensibilmente la priorità delle fondamenta dell’Allegri-bis è andata alla ricostruzione delle certezze difensive, che ormai si potevano dire quasi raggiunte se non ci fosse stato il naufragio di Stamford Bridge. Ma se questo doveva significare abbandonare del tutto lo sviluppo di una proposta di gioco attraverso cui arrivare a creare occasioni da gol (quelli che servono per vincere), la scelta si è rivelata altrettanto esiziale. Eppure l’analisi resta un’altra: “Capitalizziamo poco quello che creiamo – ha detto Allegri dopo l’Atalanta -. Morata i gol li ha sempre fatti, Dybala li ha sempre fatti, Chiesa li ha sempre fatti, McKennie li ha fatti, abbiamo giocatori che fanno gol e in questo momento non li facciamo”. Di certo è una Juve troppo brutta per essere vera, sempre che non arrivi il momento di dire che la vera Juve è questa.

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