Juve, l’errore di Agnelli però non è stato Ronaldo

Sarebbe stato il fiammifero di Cristiano Ronaldo ad appiccare l’incendio del meno 15, dalle plusvalenze in su. È un’opinione di largo spaccio. In attesa che si faccia piena luce sulla famigerata pagina che divide e impera, imprigionare il giocatore – uno dei più forti di tutti i tempi – alle catene dello svacco economico della Juventus non mi sembra corretto. Era l’estate del 2018, militava nel Real, aveva appena vinto la sua quinta Champions. Andrea Agnelli e Fabio Paratici si presero una cotta, Beppe Marotta no, ma ormai (beato lui, con il senno di adesso) era stato scalzato dal talamo aziendale, e l’operazione andò in porto, comunque. 

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Cristiano Ronaldo, un marchio carissimo

Florentino Perez incassò 112 milioni di euro. Per Cristiano era pronto un contratto quadriennale da 30 milioni netti a stagione. In totale, calcolando la provvigione di Jorge Mendes, il grande tessitore, un affare da 430 milioni. Cierre – un marchio, non un semplice intarsio – aveva già 33 anni e questo era il rischio che accompagnava il fascino di un trasferimento «epocale», scritto senza correre il ridicolo d’illuminarsi d’incenso. Lo fu, a prescindere dall’esito. L’azzardo, se mai, avrebbe dovuto allarmare il club: per la sostenibilità «a futuri controlli» e per l’effetto domino sugli stipendi degli altri titolari. Ecco. Non è mica colpa sua se qualcuno, in sede, pensava che sarebbe bastato reclutare un marziano per brandire la Champions (citofonare Leo Messi a Parigi). Fatti, non parole: 101 gol in 134 presenze, 2 scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe di Lega, 1 scettro di capocannoniere. Ma in Europa, non più dei quarti. Alla sua età, avrebbe avuto bisogno del centrocampo «vecchio» (Claudio Marchisio, Andrea Pirlo, Paul Pogba, Arturo Vidal) e la Juventus, «quella» Juventus, del Cristiano «giovane».

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Errori

Viceversa, il delirio di onnipotenza e l’ossessione Champions spinsero la società a sbagliare, platealmente, i calcoli. Con l’aggravante, «neutra», della pandemia. Giù le mani, però, dal valore assoluto. Come ha ben riassunto un lettore, l’«onore» è stato trasformato nell’«onere» di reggerne lo strascico. Ridurre il degrado all’avvento del portoghese costituisce un’analisi parziale, rappresenta un abbaglio fazioso, perché si confonde il lato tecnico con gli spasmi dei bilanci. Massimo Moratti arrivò addirittura ad applaudire Agnelli. Il passo più lungo della gamba lo fece Madama, non il cannibale. 

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Cristiano il solista

C’è poi l’aspetto tattico e caratteriale: si sapeva che Cristiano è un solista. La soluzione di molti problemi che, tra una rovesciata e un vaffa, diventa «un» problema. Non potevano non conoscerne, i dirigenti, gli spigoli dell’Ego, imploso al Manchester United proprio alla vigilia del Mondiale in Qatar. Non solo: scelse la Juventus, maglia che da noi, per tradizione, agita le edicole e spacca le piazze. Sono curioso di vedere cosa uscirà dal filone dell’inchiesta Prisma che lo riguarda. Il dato è tratto: ci sarà sempre un prima e un dopo Cristiano. E al netto delle sentenze (penali, sportive), tranquilli: i confini del suo regno li ha già tracciati la storia. Carta canta.

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