Juve-Inter, i destini incrociati di Inzaghi e Allegri 

Pochi allenatori nell’ultimo decennio hanno saputo interpretare meglio il senso della Coppa Italia di Allegri e Inzaghi. Prendete Max: i quattro double di fila con lo scudetto, impresa invano inseguita da Conte, sono un tratto distintivo del suo primo ciclo bianconero, quello dei cinque tricolori e pure delle due finali di Champions. Prendete ancora Simone: una coppa vinta e una finale persa, entrambe propedeutiche però per alzare le due Supercoppe che fanno bacheca e danno una dimensione vincente al suo ciclo biancoceleste.
Ora, tra Coppa e scudetto la differenza non è soltanto di forma, in senso letterale (il distintivo da cucirsi sulla maglia) e in senso figurato, e ne sono entrambi consapevoli. Per Allegri il tricolore è una piacevole abitudine – sei in carriera, cinque consecutivi – alla quale vuole assuefarsi di nuovo e al più presto, perché immaginare la Juve ancora fuori dalla corsa al titolo è francamente impossibile. Per Inzaghi la magnifica ossessione di una carriera costruita provando sempre ad alzare l’asticella: un sogno appena sfiorato alla Lazio prima del Covid, un obiettivo che l’Inter non gli ha formalmente chiesto ma per il quale vuole lottare sino all’ultimo. Senza tuttavia compromettere la finale dell’Olimpico che cade nel bel mezzo della settimana probabilmente decisiva per la volata scudetto. Se per la Juve alzare la coppa significherebbe vincere almeno un trofeo per l’undicesima stagione di fila, buon auspicio per iniziare un nuovo ciclo con Max, il vero senso di un bis nerazzurro, dopo la Supercoppa, lo capiremo solo all’ultima curva di questa corsa.
La coppa, dunque: snobbata da chi gioca per salvarsi e non ha altri grilli per la testa, non necessariamente prioritaria per chi ha la panchina lunga e può far sfogare a metà settimana le alternative, a volte rimpianta da chi ha capito tardi che poteva svoltarci la stagione e prendersi pure un posto in Europa. Bella la tradizione, romantica l’idea di una FA Cup dove tutti giocano contro tutti per il rito finale a Wembley, ma poi al dunque si va sul pratico.
Juve-Inter è senza dubbio la finale d’Italia – sebbene si sia giocata solo un’altra volta, ed era il 1965 – e la migliore opzione possibile per il botteghino e per gli ascolti tv, grazie a un tabellone disegnato dal destino: Juve-Napoli o il derby della Capitale erano incroci possibili solo in semifinale. Gongolano a Mediaset, per i diritti strappati alla Rai, e sorridono evidentemente anche in Lega, perché questo epilogo esalta il nuovo format varato tra le polemiche per una scelta più elitaria: al via solo le 20 di A e le 20 di B più – correzione in extremis – 4 squadre di C. Meno “base” ma anche meno date sul calendario e ,forse, più partite vere. Certamente, meno romanticismo.

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