Jorit: “Dopo lo 0-4 a Napoli sentiamo la tensione. Vi spiego il murale di Maradona”

Lo street artist Jorit Ciro Cerullo, tifoso partenopeo, racconta l’amore per il Pibe de Oro: “Si è sempre schierato dalla parte degli ultimi”. E su Milan-Napoli: “Sono scaramantico, ma la sconfitta in campionato fa paura”

Chiara Soldi @thatsamoney_

12 aprile – Milano

Per i napoletani l’appartenenza alla città, il legame con le sue tradizioni e la sua cultura, è qualcosa di sacro e imprescindibile che va oltre il classico attaccamento alla maglia. In questo Diego Armando Maradona è stato ed è tutt’oggi il simbolo della napoletanità fatta a calciatore: un “Dios umano” che apparteneva al popolo. Ed è proprio questa la scritta che ritroviamo sotto al gigantesco murales che domina la facciata di uno dei due edifici a San Giovanni a Teduccio, quartiere della periferia di Napoli. L’artista dietro a questa opera è Jorit Ciro Cerullo (in arte solo Jorit), street artist napoletano di madre olandese che con i suoi lavori ha girato il mondo, da New York a Mosca, imprimendo sui muri il suo impegno sociale e la sua attenzione verso la rivendicazione dei diritti. Il suo tratto distintivo sono i ritratti: volti giganteschi di personaggi conosciuti, ma anche di gente comune (non a caso di fianco a Diego, sull’altra facciata, compare il viso dello “scugnizzo” Niccoló) che diventano simboli di lotta e resistenza sociale. Il pallone rientra nelle sue opere grazie soprattutto all’amore per il Pibe de Oro, anche se in una chiave di lettura diversa da quella che banalmente si potrebbe attribuire al culto calcistico: “Si è sempre schierato dalla parte degli ultimi. Per questo se mi chiedi se c’è un punto d’incontro tra calcio e arte, la mia risposta sarà sempre Diego”. Tifosissimo del Napoli, vive con fervore (e un pizzico di scaramanzia) l’avvicinarsi del terzo scudetto, a 33 anni dall’ultima volta, e il grande sogno Champions. Chissà che presto non compaia un altro murales in città…

Chi le ha trasmesso la passione per il Napoli?
“Gli amici. I miei familiari non sono molto tifosi, ma qui tutti tifano Napoli, come può essere diversamente?”.

E come nasce il suo amore per Maradona?
“Come tutti l’ho apprezzato prima per le imprese sul campo, ma poi ho scoperto quel suo lato umano che andava al di là del calcio. Il mio amore è cresciuto sempre di più verso la sua persona grazie al suo attivismo nei confronti della Fifa e del sistema e al suo schierarsi dalla parte del popolo che sia sudamericano, cubano o palestinese”.

Tra l’altro Diego l’aveva anche ringraziata con un post social per il suo murales a San Giovanni a Teduccio.
“A Napoli e nel mondo gliene ho dedicati a decine, ma diciamo che aver creato quella più imponente quando ancora era in vita ed essere ringraziato pubblicamente da Diego è stato un vero onore”.

È mai riuscito ad incontrarlo di persona?
“No, mai. Ci sono state delle possibilità, anche perché Diego era molto disponibile con tutti, non era poi così inusuale poterlo conoscere, ma personalmente ho sempre preferito evitare di forzare questo incontro. Non avevo una curiosità morbosa verso di lui e non ne sentivo il bisogno. Per me non sarebbe cambiato niente, sapevo già quello che mi bastava conoscere sulla sua persona, sentivo di avere una connessione con Diego molto più intima di una semplice stretta di mano o di una foto insieme e la volevo proteggere”.

Pensa che Maradona sarebbe stato felice di veder giocare questo Napoli?
“Assolutamente si. Sia dal punto di vista calcistico che umano. Diego era una persona che gioiva nel vedere la gente felice, era in sintonia con il popolo su questo e lo sarebbe stato anche ora che Napoli è in fermento”.

Sarebbe stato tra la gente a festeggiare…
“Ne sono certo”.

C’è qualche giocatore che l’ha sorpresa di più?
“Sicuramente Kvaratskhelia, ma tutta la squadra è eccezionale. Ad oggi però non riesco a scegliere un calciatore rispetto ad un altro, io sono più per l’idea del Napoli vissuto come una passione, al di là dei giocatori. Quelli passano…”

Intende dire che una volta c’era più attaccamento alla maglia?
“Oggi il calcio è cambiato molto. Il business purtroppo prevale sull’attaccamento alla cultura e alle tradizioni. Sta scomparendo l’idea di una squadra che non sia solo azienda, ma anche portatrice dei valori di un’intera città, di conseguenza anche i calciatori spesso se ne fregano di questo aspetto identitario e pensano soltanto al portafoglio. Io credo che la gioia che ti può dare l’amore di una città intera non sia paragonabile a nessun ingaggio milionario”.

Mi vengono alla mente le lacrime di Mertens e la lettera d’amore di Hamsik…
“Hamsik si tagliava i capelli da Costantino Intemerato, il barbiere del mio quartiere (che gli curava l’iconica “cresta”). Io ci andavo da quando avevo 13 anni e proprio lì ho avuto la fortuna di conoscere Marek. Lui sì che amava Napoli, parlava con tutti ed era radicato nel territorio tanto da stare tra la gente di una cittadina come Quarto. Forse è stato uno dei pochi ad essere veramente attaccato alla maglia. Per questo gli dedicai un murales proprio nel quartiere”.

Tra l’altro c’è un collegamento anche tra Hamsik e il murales di Maradona.
“Esatto. Diede un contributo per realizzarlo. Considera che fu tutto autofinanziato con delle collette grazie agli ultrà del Napoli, nessuno ci aiutò, né le istituzioni né il club. Tutto grazie ai tifosi”.

Secondo lei, chi rappresenta un simbolo della squadra attuale?
“Osimhen. È un ragazzo d’oro e credo abbia interiorizzato lo spirito napoletano”.

Gli dedicherebbe un murales?
“Ricevo sempre richieste e commissioni di questo tipo, ma le mie opere hanno una valenza simbolica che va al di là del calcio, per me devi avere un valore di partenza che va oltre il gioco. Diego, beh, inutile che lo spieghi. Marek in quel momento anche lui incarnava la napoletanità”.

E non c’è nessuno oggi che la incarni?
“Negli anni ha visto tanti allenatori e calciatori che sembravano aver ben compreso l’appartenenza alla nostra città, ma ho capito poi che è un giudizio che si deve concretizzare nel tempo. Per portarmi a fare un murales come quelli che ho realizzato per Maradona devi avere un valore ancora più grande dell’essere semplicemente un vincente. Anche perché tifare Napoli significa passione, è una fede che va al di là delle vittorie e delle sconfitte. Il bello di tutto questo è ciò che ci sta attorno, sono le persone che stanno insieme allo stadio, discutono e amano il Napoli per quello che rappresenta. Se poi si tratta di dedicare un murales alla squadra in caso di scudetto, quello si, ma elogiare il singolo no, è troppo presto. Oggi, non c’è un calciatore minimamente paragonabile a Maradona sotto questo punto di vista”.

Stasera ci sono i quarti di Champions contro il Milan. Come la vede?
“Non posso rispondere, sono superstizioso e scaramantico. Però ammetto che ho un po’ di paura”.

Deriva dalla sconfitta per 4-0 in campionato?
“Guarda io ho già messo mille bandiere… Ma dopo quella serata, sarò magari eccessivo, però c’è tensione”.

Quindi è d’accordo con Spalletti che ci va sempre cauto.
“È il suo mestiere, probabilmente anche io mi comporterei come lui. Ha molta responsabilità sulle spalle. Se guardiamo allo scudetto è una situazione delicata, alla fine del campionato mancano ancora 9 partite. Abbiamo un bel vantaggio e per questo è certamente difficile contenere l’entusiasmo, ma bisogna mantenere la calma e continuare così. Poi, se dovessi scegliere, sarebbe bello festeggiare il 29 maggio in casa contro la Salernitana”.

Però a Napoli la festa è già iniziata da tempo…
“La gente sta impazzendo. Ci sono bandiere ovunque, si dipingono le inferiate delle case… C’è un fermento che non ho mai visto prima ed è davvero un qualcosa di unico”.

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