Italia, te li ricordi? Seferovic, Schick, Celustka, Schafer: per loro in A non c’era posto

Arrivati giovani, incompresi, usati poco o nulla, prestati, stretti dalla concorrenza. E adesso la ribalta con la nazionale

Giulio Di Feo

30 giugno – Milano

Tutto e subito nel calcio è un concetto che si concilia al massimo con la Playstation. Lì prendi uno e fai l’upgrade, nel mondo vero no, c’è la vita di mezzo. E un ragazzo deve ambientarsi, va capito, instradato, coccolato o sgridato alla bisogna, gli servono progetti e fiducia. Con tanti l’abbiamo fatto, Dybala per esempio, con troppi no. All’Europeo ci sono 4 ragazzi (5, con Shaqiri…) che da noi hanno fatto flanella e ora sono seta o acciaio. Avrebbero fatto lo stesso qui? Forse. Gli abbiamo dato poco tempo?

Celustka (Rep. Ceca)

Il suo Palermo in 14 minuti e la vendetta su Gasp…

“Mi ricorda il primo Kjaer”, diceva il presidente del Palermo Guglielmo Miccicché, riferendosi alla compostezza di questo ragazzone. Era febbraio 2010, i rosanero lo presentavano e Ondrej Celustka doveva essere anche uno spiritoso: chiese la 89 come l’anno di nascita, Delio Rossi lo chiamava Andrea e lui rispondeva con “coach Delio”. Zamparini con lo scouting era avanti, giusto sei mesi prima aveva preso Pastore dall’Huracan e lui, preso in prestito con diritto di riscatto dallo Slavia Praga, una scultura di ragazzo in grado di giocare terzino destro e centrale, poteva essere un buon investimento. “Mi hanno detto che qui chi è bravo gioca, quindi dipende da me”, disse. Prese casa a Mondello, imparò subito l’italiano. Però davanti a lui a destra c’era Mattia Cassani, all’epoca nel giro azzurro, e quindi la sua Italia si consumò tutta il 27 marzo 2010 in 14′: Palermo-Bologna 3-1, fuori Calderoni e dentro lui, il tempo di un 6 in pagella. A fine anno non fu riscattato e ne approfittò il Trabzonspor. La vendetta nei confronti dell’Italia se la prese l’anno dopo, quando coi turchi venne a San Siro contro l’Inter di Gasperini in Champions: stravinse il duello con Nagatomo e a un quarto d’ora dalla fine bruciò Lucio su una ribattuta e insaccò il diagonale della vittoria. A 32 anni è ancora una quercia e fa il centrale allo Sparta Praga e in nazionale, che ha portato fino a qui (rete decisiva al Kosovo nelle qualificazioni). Ha sofferto Immobile in amichevole, e poi ha blindato l’area ceca. Col senno di poi, da noi ci poteva stare.

Schafer (Ungheria)

Niente B, ma ha marcato Pogba e Silva

“Rapido, completo, somiglia a Sensi e Verratti”, raccontava Marco Rossi, c.t. dell’Ungheria, quando gli chiedevano di questo ragazzo appena preso dal Genoa. Era il gennaio del 2019 e l’acquisto passò in sordina: con Preziosi il mercato invernale è sempre un bel ciclone e l’epicentro era la cessione di Piatek al Milan. Il pistolero era già rossonero quando in centro a Milano passeggiava questo ragazzo biondo, un giro per negozi e poi appuntamento coi dirigenti rossoblù: battuta la concorrenza di Empoli e Stoccarda, 4 anni di contratto a lui, un milione all’MTK. L’aveva convinto Nagy, che giocava a Bologna ed era il suo punto di riferimento. Ma arrivare a gennaio per un giovane non è mai un affare, Schafer a 20 anni era titolare in Ungheria e si ritrovò in Primavera. Sei mesi buoni, prestito al Chievo in B ma lì non vide mai campo e un anno dopo il suo arrivo se ne andò in Slovacchia al Dac. Rossi lo conosceva, l’ha visto fresco e con voglia di spaccare e l’ha lanciato in mediana al fianco del sopracitato Nagy. Risultato? L’uomo che non giocava in B fa un figurone contro Bernardo Silva, Pogba e Gundogan.

Schick (Rep. Ceca)

Voleva fare il centravanti, ma c’era Dzeko

“È più forte di Dybala, deve andare all’Inter”, commentava Antonio Cassano quando Patrik Schick era il pezzo pregiato del mercato 2017. Qui l’effetto sorpresa c’è meno, perché il vero potenziale del ceco l’Italia l’ha visto bene: nella seconda metà della sua stagione alla Samp non si marcava. Poi arrivò, appunto, quell’estate da romanzo: lo prese la Juve, non passò le visite, la Juve tornò sotto, la Samp alzò il prezzo, arrivarono Inter e Roma. Vinsero i giallorossi, 40 milioni, la ciliegina sulla torta del mercato di Monchi. All’arrivo per le visite però qualcuno già si insospettì per una frase: “Sono un centravanti, ma posso giocare anche esterno”. Ecco: nel 4-3-3 di Di Francesco il centravanti era Dzeko, più intoccabile del Colosseo. E Schick arrivò dopo aver inseguito a lungo Mahrez, non proprio lo stesso mestiere. Due anni, 58 partite quasi tutte da esterno o secondo violino, 9 gol di cui nessuno in Europa, tanti guai fisici e pochi guizzi. Meglio in Germania, nel suo ruolo. Un bijoux con la Repubblica Ceca, dove sputa fuoco, ha muscoli che prima non aveva e fa la punta unica nel 4-2-3-1.

Seferovic (Svizzera)

Re dei bomber U17 ma a Firenze…

“Con lui e Ljajic prepariamo la Fiorentina di domani”, gongolava Pantaleo Corvino a fine gennaio, undici anni fa. A Belgrado dicevano già che Ljajic fosse il Kakà di Serbia, di Seferovic invece si sapeva poco. L’amore era scattato l’estate prima al Mondiale Under 17, che la Svizzera vinse con Xhaka a fare il bullo in mediana e questo tank dai piedi sensibilissimi capocannoniere davanti a gente tipo Götze, Son, Isco e Morata. Ai quarti eliminò anche l’Italia, che centravanti schierava Pietro Iemmello: sei mesi dopo i due si ritrovarono a Firenze a giocarsi una maglia al centro dell’attacco della Primavera viola. Seferovic, nato nel canton Lucerna da genitori bosniaci, soffriva la concorrenza, fu mandato tre volte in prestito in due anni e poi se ne andò definitivamente: Real Sociedad, Eintracht, Benfica. Ovunque lampi di talento, ma mai uno dietro l’altro. È che Seferovic ha bisogno di sentirsi al centro della giostra, magari senza l’assillo di doversi giocare per forza il posto. L’ha capito Jorge Jesus, che nell’ultima stagione al Benfica gli ha dato una continuità mai vista ottenendo in cambio 26 gol e 7 assist. L’ha capito pure Petkovic, che da tre anni ne ha fatto il centravanti fisso della sua Svizzera, se l’è ritrovato gasato dalla miglior stagione in carriera e ha plasmato il sistema su di lui come boa, un partner a piacere (Embolo più che Gavranovic) e Shaqiri a suggerire. E la giostra gira perché come dice Seferovic, “anche se non segno, se arrivano palloni in area io li tocco”.

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