Italia, Spinazzola l’uomo in più

Il buco c’era. C’era, il buco, in quel dannato quattro-cinque-uno degli austriaci, che con il tempo era diventato una prigione del corpo e dello spirito. Bastava pensarlo con tutta la forza dell’immaginazione, con tutta la forza della disperazione. Federico Chiesa è l’atleta con la disperazione dei minuti contati, con la frustrazione dell’escluso che gli infiamma il petto. L’unico che il buco poteva vederlo, sentirlo, toccarlo, e alla fine farlo suo. Con la lucida follia dei predestinati. Con l’ego di chi pensi di poter risolvere da solo, di poter voltare l’agonia nella gloria. Non conta che la potenza sopravanzi l’eleganza. Non conta che hai stoppato male, non conta che la palla te la sei allungata meno di ciò che volevi, non conta che per colpirla la tua postura s’incurvi barcollante nella smorfi a di una vertigine. Conta che il buco l’hai visto, non puoi fallirlo. Non lo fallirai.

Il genio, il coraggio, la caparbietà del gol di Federico Chiesa è il marchio dell’Italia che approda ai quarti. Una squadra che scopre in una notte tutte le imperfezioni e i limiti fi no a ieri coperti dalla debolezza degli avversari e dall’inganno dell’entusiasmo. Ma anche una squadra che questo Europeo lo vuole con la forza dei nervi, perché ci ha messo sopra tutto il patrimonio di credibilità e di futuro degli azzurri, e tutte le speranze di un Paese che torna a soffrire e a gioire per la Nazionale, trattenendo il fiato.

I nervi dell’Italia contro i muscoli dell’Austria. Che per due tempi morde con un pressing alto, continuo, asfissiante, in un fazzoletto di venti metri, raddoppiando prima di noi le marcature, mentre noi proviamo invano ad alzare lo sguardo. C’è tutta la Bundesliga nella performance di questa squadra coriacea, composta da atleti quasi tutti di scuola tedesca. E di animo austriaco. Quell’animo che da sempre rappresenta per l’Italia un simbolo di incomprensibile durezza. Quell’animo che faceva dire in una celebre poesia a Giuseppe Giusti: «E mi stupisco che in quelle cotenne, in que’ fantocci esotici di legno, potesse l’armonia fino a quel segno».

L’armonia dei ragazzi di Foda è l’architettura di un muro mobile, impenetrabile, contro il quale tutti gli azzurri sbattono, tranne uno. Spinazzola ci gira attorno, dal primo all’ultimo minuto della gara, con audacia sfidante, fedele al suo compito di correre sulla fascia, smarcarsi, provarci. Poi, quando ogni resistenza dei compagni sembra fiaccata, la sua audacia raddoppia. Spinazzola si fa Insigne, sulla tre quarti avversaria rinuncia al diligente passaggio a sinistra e inventa una diagonale che in quel muro apre uno squarcio. L’assist vale almeno quanto il gol che spezza l’incubo e porta l’Italia in vantaggio. Il jolly della Roma è l’uomo in più di questa Nazionale, ha tutti i pregi degli azzurri e nessuno dei loro difetti. A lui dobbiamo i quarti di finale. Che ci protegga ancora come un prezioso angelo custode.

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