Italia, i puffi del Mancio

Piccoli e azzurri, tendenti al blu. Sabato sera a molti nostri nazionali mancava solo il berretto frigio che durante la Rivoluzione francese divenne il simbolo della libertà. In effetti i magnifici puffi del Mancio di libertà ne hanno avuta davvero poca: la sfida con l’Austria li ha visti vincenti nel punteggio, ma perdenti atleticamente per almeno un centinaio di minuti. Da anni nel calcio – soprattutto quando si alza l’asticella – i chili e i centimetri incidono sensibilmente. Sia chiaro, non innesco la retromarcia rinnegando i giudizi espressi nei giorni scorsi: il centrocampo formato da Barella, Jorginho e Verratti lo trovo intrigante e piacevole. Nell’occasione, però, rilevo che ha subìto la superiorità degli avversari sul piano dei contrasti, della corsa e della spavalderia. L’Italia schierata nel primo tempo presentava sei giocatori su dieci (il fuori concorso è Donnarumma) al di sotto dei settantacinque chili, tra i quali i tre in mezzo, la cui altezza media è di poco superiore all’1 e 70 (senza calcolare l’1 e 63 di Insigne). Negli uno contro uno, che tentavamo intelligentemente di evitare con il palleggio, spesso non riuscendoci, gli austriaci ci hanno sovrastato. Il rapporto “di forze e forza” è migliorato in modo netto quando sono entrati Locatelli, Chiesa, Pessina e nel finale anche Cristante: tra Locatelli e Verratti ci sono 20 centimetri e sedici chili di differenza, 23 e 21 tra Cristante e Insigne, del quale il romanista ha preso il posto. La cosa davvero positiva è che il passaggio ai quarti consente a Mancini di rivedere alcune scelte che sembravano definitive: alle risposte del campo lui ha sempre dato l’importanza che meritano.

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Benedetto Var (se usato bene)

Senza il Var oggi noi saremmo a casa, Mancini in Sardegna o a Saint-Tropez, gli azzurri tra le Maldive, la Grecia e Ibiza e Gravina a Roma, alle prese con le peripezie salernitane di Lotito (in Claudio we trust). Benedetto, dunque, chi ha introdotto il supporto tecnologico e maledetto (dagli appassionati) chi ne vorrebbe fare un uso scriteriato o, peggio ancora, abusare. Sabato il video ha corretto per ben tre volte “l’arbitro sbagliato” che – come ha riconosciuto Paolo Casarin sul Corriere della sera – «ha finito per manifestare un disagio evidente». Il disagio che derivava da una designazione inopportuna. Grossolano è risultato il primo errore di Tony Taylor che non s’era accorto del fallo da ammonizione di Arnautovic su Barella e ha dovuto farsi suggerire “da fuori” il giallo. Era impossibile, invece, vedere a occhio nudo il fuorigioco dello stesso Arnautovic in occasione del gol, poi cancellato. Assai più vistoso il fallo di Pessina che avrebbe determinato il rigore se il Var, ancora lui, non si fosse reso conto della posizione irregolare di Lainer. La video-assistenza ha modificato punteggi, classifiche e umori, ha cambiato il calcio rompendo con un passato di errori e ingiustizie umane e disumane, e chi ancora oggi rimpiange «gli sbagli che ci stanno, perché l’arbitro che commette un errore è come il calciatore che fallisce il rigore» (cazzata) dovrebbe coltivare un’idea più alta e rispettosa della giustizia del campo. Un’altra riflessione meriterebbero i criteri fin troppo soggettivi che sono all’origine di alcune designazioni. Non è la prima volta che chi spedisce gli arbitri sui campi si produce in scelte che tolgono la serenità al designato: credo che sia preferibile far dirigere una partita complicata da precedenti e retropensieri a un arbitro meno bravo ma più sereno piuttosto che al migliore sottoposto a “fresche” pressioni ambientali e giornalistiche. Il nostro Edmondo Pinna, che del mondo arbitrale sa molte cose, ha anticipato che presto Nicola Rizzoli potrebbe essere sostituito da Domenico Messina. Il neopresidente dell’Aia Trentalange, quello dell’«esperienza che porta al nuovo», è libero di scegliere chi gli pare. Messina è persona degnissima e rispettata da tutti, ma ha già ricoperto l’incarico per tre anni in un periodo in cui la formazione di nuovi arbitri è stata quasi totalmente abbandonata. Mi auguro che il settore non rinunci all’esperienza di Rizzoli che ha dovuto gestire la più scomoda delle transizioni: sarebbe ingiusto se pagasse anche la fedeltà a Nicchi. Se, al contrario, dovesse essere confermato, Nicola dovrebbe correggere un paio di “passaggi” della sua gestione, fornendo indicazioni chiare e definitive ai suoi, in particolare sull’utilizzo del Var, e ricostruendo il rapporto con alcuni arbitri che ultimamente si sono sentiti trascurati.

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