Italia, ci siamo! A Wembley divertiti, è così che puoi vincere

Per ricostruire dalle macerie del 2018 Mancini ha avuto una visione e l’ha messa in pratica: ritrovare il sorriso e il bel gioco. Così siamo arrivati a giocarci l’Europa contro l’Inghilterra

Eravamo a San Gallo, il chicchirichì di un’alba nuova. Amichevole Italia-Arabia Saudita, 28 maggio 2018, 1.140 giorni fa. Ora cha siamo usciti dal «pelago a la riva», come direbbe il Poeta; ora che siamo qui a Wembley; ora che sta per iniziare Inghilterra-Italia, finale di Euro 2020, è bello voltarsi a rivedere il mare che abbiamo attraversato in questi tre anni. Lo faranno anche gli azzurri a centrocampo, questa sera, ripensando a tutte le partite giocate per arrivare al punto più alto della carriera.

A Gigio Donnarumma, da bambino, rimproveravano di essere troppo alto e doveva mostrare la carta d’identità ogni cinque minuti per certificare l’età. A Lorenzo Insigne invece rimproveravano di essere troppo piccolo. Quando glielo dissero anche all’Inter sbattendogli un’altra porta in faccia, scoppiò a piangere e quasi smise di giocare. Ora, i due ex bambini, sono allineati a centrocampo, il più lungo e il più corto della fila azzurra.

Quel giorno in Svizzera facevamo da sparring partner agli arabi che stavano per disputare il Mondiale di Russia, dal quale eravamo stati banditi con ignominia, noi che abbiamo vinto quattro Mondiali. Come se Tyson si fosse prestato a fare i guanti con un dilettante. Fuori dalle 32 partecipanti al Mondiale. Il punto più basso. Roberto Mancini, il nuovo c.t., capì che per ripartire dall’Apocalisse non bastava vincere, bisognava offrire di più: una visione. Mentre tutti badavano alla polvere che si alzava dalla macerie, Mancini indicava il sole oltre la nebbia: “Vinceremo l’Europeo e poi il Mondiale”. Lo guardavano come un matto. Ma la visione non bastava ancora. Bisognava ridare il sorriso a quei ragazzi che avevano sbattuto contro la Svezia e si erano fatti male fino a piangere, come Buffon. Bisognava farli divertire, come aveva fatto nel primo dopoguerra il cardinale di Milano, Schuster, che aveva costruito un centro sportivo al Parco Lambro per far giocare i bambini, usciti dalle macerie dei bombardamenti. Come si fa a far divertire un calciatore? Lasciandogli il pallone, il giocattolo, il più possibile. Da qui l’idea fondante della nuova Italia, la proposta al primo allenamento: “Vinceremo con merito, dominando, tenendo palla, attaccando sempre, correndo in avanti per recuperarla. Osate anche a costo di sbagliare. Divertitevi e divertite gli italiani”. Divertimento: la parola chiave. Avete sentito Mancini ieri? All’ultima conferenza prima della finale non ha detto: “Ci manca una partita per diventare campioni”. No. Ha detto: “I ragazzi hanno a disposizione ancora 90’ per divertirsi. Se riusciremo a divertirci, vinceremo”. Dopo il gol al Belgio, Insigne spiegò: “Mi sono divertito come al calcetto con gli amici”. Il divertimento. È tutto qui. Questa è stata la vera rivoluzione di Mancini: non tanto la rinuncia alla speculazione di difesa e contropiede, ma la ricerca della bellezza e del divertimento. Non è stata una rivoluzione tattica, ma di gusto. Siamo arrivati qui, a Wembley, perché ci siamo divertiti per tre anni. E stasera, come dice il Mancio, ci riproviamo per vincere. Anche se sarà dura.

Se noi aspettiamo un titolo europeo da 53 anni, loro non festeggiano qualcosa da 55. Ci hanno fatto venire il mal di testa con It’s coming home, con una coppa da riportare a casa. Wembley, pieno come non lo era da tempo, sarà una bolgia di inglesi. Boris Johnson, spettinato e insaccato nella maglietta bianca, danzerà come a un sabba di streghe. L’Europeo, dopo la Champions, consacrerebbe il nuovo splendido isolamento dei fondatori, tornati dominatori. E poi anche loro sono stati bambini con la forza dei sogni. Durante l’inno anche loro ricorderanno da dove sono partiti. Declan Rice, a 7 anni, andò a seguire un cugino che giocava un torneo a Guilford. Lo convinsero a mettersi due scarpe da calcio e tutto cominciò. Il minuscolo Raheem Sterling, a 8 anni, scartava tutto e tutti senza passarla mai in un playground di periferia, a un passo da Wembley. Passò Clive Ellington, angelo-scout e iniziò il futuro. L’Inghilterra, che ha subito un solo gol su punizione, è forte e tosta come l’ex bambino Rice, diventato un mediano da paura. Ha quel diavolo di Sterling che dribbla anche i fili d’erba come non fosse mai uscito dal playground e in area spesso vacilla. Ha Kane, il centravanti che ci manca. Quella prima volta, a San Gallo, segnarono Balotelli, il 9 del vecchio ciclo, e Belotti che, con l’amico Immobile, si sarebbe spartito il nuovo triennio, ma senza mai convincere fino in fondo. Nessuno dei due. Ma forse ha ragione Mancini anche qui e alla fine, all’ultimo Ciro, “il più criticato diventa quello che decide”. Ci crediamo. Perché sarà dura, ma possiamo farcela. Wembley sarà anche un pudding d’inglesi, ma fuori c’è un mondo che tifa per noi, da quel gran signore di Luis Enrique a Ursula Von der Leyen, presidente Ue. E c’è soprattutto un’Italia che attende per scendere in strada a festeggiare un trionfo e la fine di anni infetti che questa Nazionale ha lenito in parte con la sua bellezza.

Gli inglesi sanno che non ci piegano in una partita vera dal ’77 e che siamo imbattutti da 33 match. La bolgia di Wembley potrebbe mettere più pressione a loro che a noi. Bonucci e Chiellini è gente che non trema. Chiesa e Barella sono anime che si esaltano nel fuoco. Il genio di Insigne vale quello di Sterling. Le mani di Donnarumma loro non ce le hanno. E neppure la nostra empatia che Mancini ha coltivato ad arte, come un Bearzot. Spinazzola è qui, con le stampelle. Oggi è l’11 luglio, come nel 1982, quando trionfammo al Bernabeu, davanti al Presidente Pertini. È in arrivo il Presidente Mattarella. Siamo pronti a soffrire come con la Spagna, se ci tolgono il giocattolo. Ma se riusciremo a divertirci, ha ragione Mancini: vinceremo noi.

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