Intervista a Bruno Giordano: “Osimhen top player: arriverà a 25 gol”

Cosa dice il saggio centravanti di questo indiavolato e moderno attaccante che va a spasso con la stessa maglietta?
«E che gli vuoi dire? Solo che è bravo, bravissimo, da far rabbrividire per il modo in cui cerca la porta e la trova».

In una partita sporca, poi.
«In cui Smalling non aveva sbagliato quasi niente. E però lui, Osimhen, lo aveva costretto a spendersi assai. Il giallo subito, dopo una ventina di minuti, le corse sfiancanti nelle uscite e poi negli strappi. Una faticaccia che ha avuto il suo peso».

E che ha inciso in quella incertezza?
«Può darsi, non saprei dirlo. Non era una palla di facile lettura, perché Politano l’ha presa al volo, l’ha indirizzata con precisione e dando giri e potenza. Però Smalling poteva fare meglio, almeno così pare. E comunque, Osimhen gli è saltato addosso».

Sembra affamato.
«Lo è. Ha saltato troppe partite, come un anno fa o due anni fa. Questo è il suo limite: non avere un’alleanza con la fortuna, perché la sorte gli gira sempre le spalle. Infortuni a catena, che ti tolgono la continuità, che poi ti spingono a strafare per recuperare i gol perduti. Io le conosco le ossessioni dei centravanti».

E anche i margini di miglioramento.
«Impressionanti. Può diventare tra i più forti in circolazione, ammesso non lo sia già».

È dura la vita di un bomber, deve parlare con i numeri.
«È un attaccante da 20, anzi da 25 gol. E mi tengo basso per il momento. Perché conosce tutto il campionario per fregare il prossimo, cioé il centrale che gli sta addosso. Smalling è stato bravissimo fin qui, in questo avvio di stagione, e sembrava che pure stavolta potesse chiuderla in controllo. Invece, ha sentito rubargli il pallone, non è riuscito a rientrare, perché non si poteva, e poi ha scoperto che intanto Osimhen si era inventato un capolavoro».

Sembra persino meno individualista, adesso.
«E non è un’impressione. Gioca per la squadra, dà aiuto nelle due fasi, anche sulle palle inattive nella propria area, fa da sponda, si appoggia, aiuta il Napoli a salire, scarica sui compagni. Per un po’, pareva una scheggia impazzita. Ma era un bambino, ventuno anni, ed aveva bisogno di conoscere il nostro calcio e le nostre difese. Il resto l’ha fatto Spalletti».

Quanto incide un allenatore, eh…
«Osimhen ha tutte le doti di questa terra, ma Spalletti è statio bravissimo. A un certo punto, mi è sembrato si stesse riscaldando Raspadori, e ci stava, però poi ha voluto continuare così, senza alterare certi equilibri anche fisico-tattici. Uno che manda in campo il giovane Gaetano per Zielinski, e dico Zielinski, ha una visione gigantesca delle situazioni ed è padrone assoluto della squadra, che tiene in pugno».

La crescita di Osimhen significa cos’altro?
«In soldoni, se hai uno che segna così, parti dall’1-0, forse. È un pericolo per chiunque, non sai come andarlo a prendere, perché se provi ad anticiparlo e ti scappa via è finita; e se invece l’aspetti, lui ti sposta, copre e si lancia nello spazio o si appoggia sul compagno, vicino o lontano che sia. Ho notato anche che ormai ha una visuale periferica allargata, che va pure sull’esterno distante. Si sta completando, fa paura».

Disciplinarsi lo rende migliore, ovviamente.
«Pure agli occhi dei compagni, dai quali riceve stima comunque. Ma è pazzesco ciò che è stato capace di costruire, dopo aver sbagliato un gol che per lui era assai più semplice. Però sono cose che possono succedere e Osimhen ha sottolineato pure altro: la capacità di restare freddo, di non perdersi nel rimpianto per aver buttato via un’occasione. Non so quanto tempo sia passato dalla conclusione che ha mandato fuori a quella che ha sistemato nell’angolino di Rui Patricio. Una frustata, fateci caso».
Pum.


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