Insigne, se Lorenzo è poco magnifico non si passa

Cattivi pensieri? Ora sono orrendi. Di spareggite si muore o, quanto meno, si soffre. C’erano tutti prima, i cattivi pensieri, ora si può dire. Il primo ad averli nella testa come un baco gigante era proprio il Mancio che, negandoli, scongiurandoli, li aveva affermati. La notizia prima del gol di Okafor e poi gli altri funesti arrivavano puntuali a materializzare il fantasma che ci aspettava al varco. Non può succedere di nuovo, ci si diceva in cuor nostro. È successo. Belfast, la città del Titanic e dunque di facili e immancabili accostamenti, non suona bene, per via del passato che forse torna o forse no. È tornato.

Insigne nel tridente leggero

Non siamo né belli, né veloci. Loro sembrano loro, noi sembriamo gli inglesi, di bianco vestiti, e anche questo non suona bene. L’occhio sul Windsor Park, l’orecchio a Lucerna e tante attese sul Piccoletto, il falso nueve scelto da Mancini per destabilizzare i corposi e un po’ marmorei pilastri difensivi dei verdi. Strategia da illusi. Tridente più evanescente che leggero e lui, Insigne, il più evanescente di tutti. Non facciamo nemmeno il solletico a Evans e compagni. E il pareggio ci sta pure largo, per dire che non possiamo prendercela nemmeno con la cattiva sorte, per non dire dell’arbitro, più amico che ostile nelle decisioni intermedie.

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Il riscatto di Lorenzo il Piccolo

Lorenzo il Piccolo, mai come questa sera, avrebbe dovuto lui più di ogni altro essere la star della serata. Era scritto in qualche favola mai scritta che doveva essere lui a portare l’Italia dritta e senza patemi in Qatar e portare se stesso, definitivamente, oltre una storia che parte dalla sera maledetta in cui l’incomprensibile Ventura (tempismo grottesco il suo addio dichiarato proprio nei giorni in cui il suo Fallimento Calcistico risonava sinistro come eventuale replica) lo tiene in panchina nella partita decisiva con la Svezia, preferendogli Gabbiadini, mentre persino i suoi giocatori in panchina, a cominciare da De Rossi, gli davano del pazzo. Insigne era stato la vittima sacrificale di quella sera infausta. L’alibi agitato. La prova patente di un allenatore che aveva perso lucidità.

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