In Spagna un mercato senza botti: con l’effetto Covid ai minimi dal 2012

In Spagna si è chiusa una campagna acquisti tutt’altro che entusiasmante a causa della crisi finanziaria generata dalla pandemia. Situazione difficile soprattutto per le big: il Barcellona n’è uscito con le ossa rotte. Il Real Madrid, invece, ci ha guadagnato

Pochi affari, pochi soldi e nessun cosiddetto botto o presunto tale. In Spagna si è chiusa una delle campagne acquisti più morigerate degli ultimi anni, per usare un eufemismo. C’è chi l’ha definita addirittura “triste” e “frustrante”, a partire dai vari procuratori che hanno spiegato a Marca le conseguenze e le ripercussioni della pandemia su un calciomercato profondamente ridimensionato. La crisi non ha risparmiato nessuno, nemmeno top club come Barcellona e Atletico Madrid, obbligate a fare buon viso a cattivo gioco e a districarsi tra bilanci deprimenti e necessità di rinnovamento. Tanti campioni sono andati via, pochi ne sono arrivati. Ridurre il monte ingaggi è divenuto l’obiettivo principale. Accontentarsi di scambi o prestiti con opzioni è risultato quasi inevitabile. Il margine di manovra? Quasi inesistente, con un giro di affari di poco superiore ai 400 milioni (compresi i 60 virtuali del Barça per Pjanic e i 56 del riscatto esercitato dall’Atletico per Morata). Una cifra così bassa, in Liga non la si registrava dal 2012. Tenendo in considerazione tutte le squadre di prima divisione, l’80%% degli spostamenti in quest’ultima finestra di mercato è avvenuta tramite scambi, prestiti o cessioni gratuite.

SALDI OBBLIGATI

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Tanti campioni sono partiti, pochi ne sono arrivati. “Tutti i club si sono concentrati su scambi e prestiti per far tornare i conti. In un panorama semiparalizzato è emerso il problema delle rose extralarge, di tutte quelle squadre piene zeppe di giocatori e ingaggi sproporzionati. Tagliare i costi – ha spiegato uno degli agenti interpellati da Marca – è diventato l’imperativo, condizione indispensabile prima di poter eventualmente pensare ai rinforzi. La crisi ha ridotto il calciomercato a una sorta di baratto”. Da Hakimi e Ferran Torres fino a Morata, a dettare cessioni e acquisti sono state esigenze di bilancio, in certi casi tali da giustificare anche sacrifici e rinunce. Emblematico il caso del Barça, che pur di alleggerire il monte ingaggi si è dovuto accontentare delle briciole per Rakitic (1,5 milioni), Vidal (1), Todibo (2), Suarez e Rafinha (entrambi ceduti gratis). Di conseguenza, al netto dei 97 milioni di perdite certificate dall’ultimo bilancio, è divenuto impossibile centrare tutti gli obiettivi prefissati, dal più ambizioso (Lautaro Martinez) fino a più contenuti (Depay e Garcia). Le risorse, semplicemente, non c’erano. Oltre a Trincao, già acquistato a gennaio, e a Pjanic (frutto però della rinuncia a Arthur), i catalani si sono dovuti accontentare di Pedri e Dest, per un esborso complessivo di circa 26 milioni.

I DUE VOLTI DI MADRID

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Agrodolce invece la campagna acquisti del Cholo: è arrivato Suarez, ritenuto più funzionale e letale di quel Morata appena riscattato per 56 milioni, ma il mercato si è chiuso con la perdita di Thomas Partey, per cui l’Arsenal ha versato tutti i 50 milioni di euro previsti dalla clausola risolutiva. Soldi che fanno comodo alle casse dell’Atletico, ma per Simeone è una gran perdita, non compensabile nemmeno dall’arrivo dell’uruguaiano Torreira. Per i Colchoneros resta poi il problema degli esuberi: gli indiziati a partire sono rimasti tutti, da Lemar a Herrera. Per due rinforzi ottenuti, Simeone ha perso altrettante pedine. Poteva andare meglio. Il Real Madrid rappresenta invece un’eccezione: nessun arrivo salvo Odegaard (di rientro dal prestito), zero soldi spesi e ben 18 cessioni tra “canterani” e big per un totale di quasi 100 milioni incassati. Un mezzo miracolo in tempi di pandemia, frutto soprattutto dei 75 milioni incassati solo dalle cessioni di Hakimi (Inter) e Reguilon (Tottenham). Florentino Perez, inoltre, è riuscito anche nell’impresa di ridurre il monte ingaggi grazie alle partenze di pesi massimi come Bale e James. Zidane ha accettato di cavarsela con il materiale a disposizione. L’austerità decisa da Perez non è stata scalfita nemmeno dall’emergenza in cui è piombato Zizou a poche ore dal termine del mercato, a causa degli infortuni che hanno bloccato Carvajal e Odriozola lasciando il tecnico francese senza terzini destri. Toccherà fare di necessità virtù. Di questi tempi, e con uno stadio ancora in costruzione, meglio risparmiare.

SIVIGLIA CONTROCORRENTE

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Dietro alle big c’è ovviamente chi se la passa peggio. Basta chiedere come va in casa Valencia, dove Lim si è dato ai saldi sfrenati (in uscita). Dal Mestalla se ne sono andati Ferran Torres, Parejo, Coquelin, Rodrigo, ma di ricambi nemmeno l’ombra. In controtendenza c’è invece il Siviglia, che beneficia dell’abilità e della creatività di un esperto come Monchi: al Sanchez Pizjuan sono sbarcate sette facce nuove, due negli ultimi minuti di mercato (Idrissi e Rekik), e i principali artefici della scorsa stagione sono rimasti, da Koundé a Ocampos e Diego Carlos. A Siviglia le ambizioni sono legittimamente cresciute e lo scorsa domenica al Camp Nou si è capito il perché.

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