Immarcabile, “ossessionante!”. I 40 anni di Ronaldo, Fenomeno dalle ginocchia mai normali

Su di lui ne hanno scritte tante, e molte altre non le sapremo mai, ma potremmo scrivere almeno dieci libri. E alla fine li compreremmo tutti. Perché lui, Ronaldo Nazario De Lima, è stato storia e leggenda di una generazione. Vestito di aureo, intriso di mistico. Con quel “se” che ne ha condizionato la carriera: “Il ginocchio sì, chissà se non si fosse infortunato mai…”. Non possiamo rispondere, è una domanda che abbandona il reale ed entra nell’ipotetico, quello di cui piace tanto scrivere. Chiacchiere, già. Possiamo solo immaginare. Ripercorrendo, all’infinito, un’emozione chiamata “Fenomeno”.  Oggi Ronaldo compie 40 anni e non gioca più. Peccato, specie per chi non l’ha vissuto. Perché è il Ronaldo “privato” che ci fa capire chi era veramente. Quello raccontato dagli altri, più di quello visto in tv. Qualche pillola: “Faceva il primo esercizio, ogni tanto il secondo, poi cominciava a fare battute…”. E l’allenamento finiva lì.

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Garantisce Gigi Simoni, primo allenatore di quel “Ronni” arrivato dal Barcellona. “E’ stato il migliore che abbia mai visto”. Pericolo per i difensori. Guai a schernirlo, ci provò Thuram: “Ronaldo sembra un monaco shaolin”. Versione soccer però, perché le sue accelerazioni qualcuno ancora se le sogna. Incubi: “Ci ha fatto fare figure da cioccolatai”. Ricorda Costacurta, non proprio l’ultimo dei fessi. Leggenda. Come la storia sulla sua data di nascita, nato il 18 settembre ma registrato quattro giorni dopo, il 22. Sia lodato il medico che l’ha fatto nascere, però. Perché è da lui che prende il nome di “Ronaldo”. I casi della vita. Passi in corsia come ogni giorno e dai il nome ad un bambino, inconsapevole che qualche anno dopo sarebbe diventato “quel” Ronaldo. 

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Normalità, termine sconosciuto nella vita del Fenomeno. E lo sa pure lui: “Non mi è mai stato permesso di vivere una vita normale”. Neanche per le sue ginocchia, purtroppo. Perché il quadricipite destro era più grande dell’altro, il peso del corpo era troppo forte, inusuale. E prima o poi non lo avrebbe sopportato più. Questione di tempo. Accade contro la Lazio, all’Olimpico, durante la finale d’andata di Coppa Italia nel 2000. Ronaldo prova quel doppio passo che due anni prima aveva sorpreso Marchegiani, regalando all’Inter la Coppa Uefa, ma stavolta, ahinoi, il ginocchio fa crack e non risponde più. “Si è sentito un botto”. Stop e lacrime. Storia triste, nota. Non come quanto accaduto nel ’98, la notte prima della finale con la Francia.

1464421316_post_2Convulsioni, crisi, bava alla bocca. Una scena da suspance che neanche il miglior Hitchcock: Ho sentito gridare più volte la parola: morto. C’è stato un parapiglia: Ronaldo aveva avuto un malore”. Attimi di paura, ma “Ronni” gioca comunque la finale, perdendo 3-0. Misteri. Ma torniamo ai sorrisi, alle qualità. Accelerazione: “Era immarcabile”. Capacità di smarcamento: “Ossessionante!”. Gol a grappoli: “Ronaldo non è pericoloso solo quando è in tribuna”. Apprendimento superiore: “Era in grado di fare in 2 giorni quello che gli altri facevano in dieci”. Indimenticabile: “Era la cosa più veloce che avessi mai visto correre con un pallone”

figo-ronaldo-e-roberto-carlos-pelo-real-madrid-1408999421425_1920x1080Sfortunato, infine. Iniziò da piccolo, dopo un provino al Flamengo. Andò lì, segnò, superò tutto. “Torna domani e ti prendiamo”. Ma “Ronni” non aveva i soldi per il pullman e il sogno sfumò, colpa di 25 centesimi: “Pazienza, ne troveremo un altro”. Oggi ancora si disperano. Pregando che un “Dottor Brow” 2.0 arrivi con una DeLorean stile macchina del tempo, per scrivere una storia che anche loro, i brasiliani di Rio, avrebbero voluto tanto vivere. Un burlone, Ronaldo. Habituè della vita mondana: “Ogni sera facevamo le 5 del mattino, ma io il giorno dopo mi allenavo. Lui dormiva sul lettino…”. Parola di Vieri, intesa di massima tra campo, gol e serate al Pineta. Vita da Beautiful, poi. Tra donne, amanti e figli. Roba “che mi ha condizionato la carriera”. Avrebbe potuto fare molto di più, secondo Gigi Simoni. Ma? “Quando gli dicevo che se si fosse allenato con regolarità avrebbe segnato anche 40, gol lui mi rispondeva…”me ne bastano 25!”Prendere o lasciare, era fatto così.

ronaldo-inter-pp-e1401277292903Ronaldo ha dispensato calcio in almeno 4 stati e altrettanti continenti. Dall’Europa al Sud America, fino agli Stati Uniti e all’Asia, coi Mondiali del ’94 e del 2002. Ha sfidato le leggi del suo corpo segnando sempre e ovunque. Ogni tanto perdeva, spesso no. Pure al Real, quando tutti lo consideravano finito. 104 gol e tre trofei. Andò in Olanda perché glielo disse Romario, si trasferì al Barcellona su consiglio di mamma Sonia. Restò un anno segnando uno dei gol più belli della sua carriera, contro il Compostela. Poi l’Inter, “per sempre la sua famiglia”, il Real Madrid, il Milan (con gol nel derby, che storia. E il ginocchio che fa di nuovo crack…), il ritorno in patria col Corinthians. Infine il ritiro a 34 anni: “E’ dura, provo una giocata e non riesco a farla”. Lacrime e nostalgia.

maxresdefaultAlti e bassi. Delusioni e rinascite: “Sono un combattente, mi rialzo sempre”. Poi il saluto. Gioca l’ultima partita col suo Brasile, un’amichevole contro la Romania. Sfiora pure il gol, i suoi compagni provano a farlo segnare in tutti i modi, ma ormai non è più il Ronaldo goleador. Ha la pancia, il viso gonfio e i capelli lunghi, crespi. Niente pelada. Resta la 9, unica, e il ricordo di chi ha visto giocare il (vero!) Fenomeno: “un pugile da KO coi piedi di Fred Astaire”. Con quelle ginocchia maledette che ne ancora oggi scandiscono quei “se”.

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