Il ritorno di Otero: “Io studente con Del Piero e Vieri, voglio tornare in Italia”

La bellezza delle cose semplici. Così era a Montevideo negli Anni ’70, così è stato anche nel profondo Veneto vent’anni dopo. Storia di Marcelo Otero, l’ex ragazzino dal gol facile che dal padre gioielliere ha imparato a dare il giusto valore a tutte le cose. Paolo Rossi è stato un mito da inseguire, Vicenza una possibilità da cogliere al volo ma anche una scelta coraggiosa. Col biancorosso sulle spalle Otero ha segnato quattro gol alla Fiorentina nel settembre 1996, ha conquistato la Coppa Italia qualche mese dopo, sfiorato la Coppa delle Coppe nella stagione successiva. Un capolavoro di Francesco Guidolin, un’impresa condivisa con quella gente che oggi per il Vicenza soffre. Dall’altra parte dell’Oceano Otero lavora e sogna. L’ex attaccante vuole ancora fare gol sui campi del nostro calcio: stavolta dalla panchina.

Marcelo, lei ha preso il patentino da allenatore Uefa A: contento?

Sì, aspetto che mi spediscano il cartellino qui in Uruguay. Ho fatto parte di un grande gruppo. Ho studiato insieme a Del Piero e Vieri: con loro ho giocato contro in passato. Mi sono trovato davvero bene.

Com’è nato il sogno di allenare?

È stato Paolo Montero a spingermi su questa strada. Siamo stati insieme a San Lorenzo. Mi ha detto di  prendere il patentino e sono contento di avercela fatta. Adesso lavoro con Paolo, devo fare esperienza. Siamo amici da tanto tempo. Speriamo di fare bellissime cose insieme. Per allenare da solo c’è tempo.

Che cosa ha fatto dopo aver smesso di giocare nel 2003?

Sono stato tranquillo. Non è facile scegliere che cosa fare dopo il ritiro. Ho comprato un campo da calcio con i miei fratelli: lo affittiamo alla gente che vuole giocare. Ho viaggiato tanto. Poi ho seguito il corso da direttore sportivo in Uruguay. Ho lavorato per un paio di mesi per una squadra che oggi gioca in Serie B.

Com’è nata la sua passione per il calcio? C’erano sportivi nella sua famiglia?

Ho cominciato a giocare quando avevo quattro anni, poi io e mio fratello siamo diventati professionisti. Abbiamo giocato nella Serie A dell’Uruguay. Mia madre è stata sempre la padrona della nostra casa. Il mio papà ha lavorato come gioielliere per quarant’anni. Nel fine settimana era libero e ci portava allo stadio. Mio padre ama il calcio da sempre.

Lei ha fatto l’attaccante: perché?

Mi hanno schierato sempre davanti perché ero veloce e un po’ furbo. Ho sempre fatto l’attaccante. Poi mi piaceva fare gol, era il ruolo perfetto per me. Sono cresciuto in fretta. In Uruguay i ragazzi diventano uomini presto perché da giovani devono andare a lavorare. Io aiutavo mio padre e mia madre insieme ai miei fratelli. Abbiamo dovuto lasciare la scuola per puntare sul calcio. Sono diventato professionista quando avevo 16 anni: ho firmato il primo contratto per il Rampla Juniors.

Il Peñarol le ha cambiato la vita?

Sì, mi hanno comprato nel 1993 e per me è cambiato tutto dal punto di vista economico e professionale. È stata la mia squadra del cuore. Ci ho giocato per tre anni e abbiamo sempre vinto il campionato.

Lei è stato allenato da Oscar Tabarez: che persona è?

Un maestro e un uomo molto intelligente. Ha sempre fatto la cosa giusta nel calcio. Tabarez ha lavorato tanto per migliorare sempre i suoi calciatori. È un uomo spettacolare. Ha fatto grandi cose in Uruguay. Adesso ha qualche problema di salute, ma con la testa sta bene.

Lei ha vinto la Copa America nel 1995 contro il Brasile: conquistare quel trofeo l’ha aiutata per arrivare in Italia?

Giocare in nazionale è una vetrina per tutti. In quell’Uruguay c’erano grandissimi calciatori che avevano già giocato in Italia: penso a Fonseca, a Francescoli e a Ruben Sosa. Ho vinto con compagni di squadra che prima vedevo solo in televisione. È stato bellissimo. Ho saputo che un agente era venuto a vedermi: voleva portarmi in Italia. Ho pensato a vincere quella Copa America, poi mi sono trasferito in Europa.

Com’è stato l’impatto con Vicenza?

Non conoscevo la città. Per me era tutto nuovo. Sapevo che la squadra era neopromossa in Serie A e che ci aveva giocato Paolo Rossi. Era un altro mondo. Non c’era il cellulare per chiamare a casa. Non è stato facile. Sono arrivato a Vicenza insieme al mio connazionale Gustavo Mendez: non capivamo niente, non conoscevamo l’italiano. Pensavamo solamente a giocare. Quando scendevamo in campo passava tutto.

Giovanni Simeone ha segnato quattro gol in una partita di Serie A (Verona-Lazio 4-1), lei ci è riuscito nel 1996 (Fiorentina-Vicenza 2-4): più difficile oggi o allora?

Io ce l’ho fatta alla prima giornata del mio secondo campionato con il Vicenza. Alla mia epoca era più difficile fare quattro gol perché c’erano calciatori più forti rispetto ad oggi. Ho segnato quattro reti alla Fiorentina che allora era piena di grandi calciatori che giocavano nelle loro nazionali.

Come ha festeggiato quelle quattro reti?

Lunedì il giorno dopo la partita sono andato in giro per le strade di Vicenza perché dovevo cercare una casa per la mia famiglia. I giornalisti erano impazziti, mi stavano alle spalle in quelle ore. Martedì sono andato all’allenamento ed è passato tutto.

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