Il Napoli al tavolo dei giganti

NAPOLI – Qual è il «suo» calcio, quindi? Perché guardandolo dai tetti di Roma, lì dove c’è traccia della Grande Bellezza, Luciano Spalletti, ci ha infilato altro: il senso pratico della vita, una perfidia che metà basta, il cinismo che non t’aspetti e soprattutto tutta la materia grigia di cui madre natura l’ha dotato. «Abbiamo vinto una partita che volevamo giocare proprio così». Era scolpito sui sanpietrini che il pallone l’avrebbe portato lui (60% di possesso) ma per non ritrovarsi soffocato dalla sterilità delle statistiche e dal blablabla dell’analisi di pancia, per una serata assai speciale – tra Mou e il proprio passato, l’ombra del Milan e le risposte da darsi a ritmo continuo, la farcitura ha offerto pure altro, oltre al solito palleggio: una squadra che avesse le ampiezze giuste, che poi per un’ora circa occupasse le linee, che poggiasse su due mediani e liberasse Zielinski dalle coperture basse, che andasse al di là dell’ultimo difensore o che puntasse dritto al cuore dell’area. I numeri che non mentono (quasi) mai gli hanno garantito la pennichella di Meret e l’ansia per Rui Patricio in cinque o anche sei circostanze, partendo dal 26esimo secondo, la palla strappata da Karsdorp a Kvara; ritrovandosi con quel rigore-non rigore che pure appartiene ad un football danzato; e poi: la rasoiata di Lozano, la ciabattata di Juan Jesus; la chanche cosmica di Osimhen finita al di là del palo, proprio prima del graffio sulla cute e sul campionato. Perché certe notti… 

Napoli, sorrisi e concentrazione per i Rangers in Champions

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Real

Il pentapartito del calcio internazionale dice ciò che si sa e il Napoli si ritrova al tavolo dei Giganti con quei ventinove punti che valgono poco meno di un’unghia rispetto a ciò che hanno fatto il Psg e il Real Madrid: ma in questo bimestre, nel tritatutto, vanno inseriti anche il Liverpool e i Rangers e l’Ajax, il dodici su dodici in Champions League, un dominio assoluto che varca i confini, che impone riflessioni sulla natura di una squadra che sa di Spalletti, della sua inesauribile fantasia che non va limitata solo alle trasformazioni in corsa (dal tridente o al 4-2-3-1) ma al coraggio delle scelte, alle opzioni preferite (Olivera per Mario Rui, dovendo andare a fronteggiare la Roma sul suo terreno, quello delle palle inattive, e avendo necessità di centimetri a cui non rinunciare mai, men che meno nel finale), ai ritocchi effettuati (Elmas per Ndombele, volendo di nuovo il 4-3-3, poi Gaetano per Zielinski, per non uscirne e per continuare ad avere capacità di palleggio).

No limits

Le undici vittorie raccontano l’autorevolezza del Napoli, plasmato a tempo da record, superando le presumibili difficoltà di ambientamento dei nuovi, riducendo il periodo di apprendimento d’un calcio che somiglia a quello dell’anno scorso eppure sa di nuovo, sa sempre di Lobotka (pure quando tocca solo 44 palloni per la presenza di Pellegrini); sa degli esterni; di una verticalità sfrontata o studiata attraverso la circolazione, per trovare gli angoli liberi.

Supereroi

La gigantografia del Napoli riempie gli occhi con l’attacco, con quei 43 gol segnati da quindici calciatori diversi, con il prodotto interno netto che appartiene agli attaccanti ed è pari a 29 reti, una percentuale massacrante per gli avversari (il 67%), pure se fieri oppositori su una Maginot che comunque è destinata a crollare, con le schegge di Lozano o di Kvara o di Politano, con la faccia tosta di Osimhen, con l’eleganza di Raspadori o di Simeone. Arrivano i «mostri», a volte: li manda Spalletti.

Abraham e Osimhen insieme dopo Roma - Napoli: ecco cosa si sono detti

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