Il lato oscuro del prestito

La strada delle riforme è spesso come quella dell’inferno, lastricata di buone intenzioni. L’ultima battaglia in cui la Fifa s’è avventurata è quella dei prestiti. La premessa, cioè le buone intenzioni, è un ritornello ripetuto da anni anche dalla Uefa: imporre un modello di calcio più sostenibile e virtuoso che incentivi i club a valorizzare il lavoro dei vivai, puntando sui calciatori costruiti in casa e non su quelli svezzati dagli altri. Siccome una volta fatta la legge si trova rapidamente anche l’inganno, un certo scetticismo rispetto alla riforma che entrerà in vigore da luglio è più che comprensibile. Prendete per esempio la regola sulle liste per la A, mutuate (e adattate) dal modello Uefa: hanno davvero sostenuto la politica dei vivai o hanno invece spinto i nostri club a pescare con maggior insistenza gli under all’estero per allungare le rose? La risposta è scritta nei numeri ed è la seconda. 

Torniamo alle nuove regole sui prestiti. Le premesse in sé appaiono condivisibili. Più trasparenza sulle condizioni economiche e sugli obiettivi a cui vincolare l’obbligo di riscatto; limite di un anno e stop al “prestito su prestito”, due soluzioni che l’Italia aveva introdotto in tempi recenti (la prima, il prestito biennale, andava di fatto a sostituire le vecchie comproprietà, formula che esisteva soltanto da noi). La portata più dirompente della riforma, tuttavia, è un’altra: un tetto ai giocatori da poter prendere e cedere in prestito (otto ingressi e otto uscite per il 2022-23, poi si scenderà a sette e quindi a sei) più un limite di tre prestiti da o verso lo stesso club. Da una parte si mette un freno alle manie di grandezza di società che arrivano a controllare un numero spropositato di professionisti, tutti poi da smistare faticosamente in giro; dall’altra si scardinano certe partnership tecniche che rischiano di ridurre alcuni club in vere e proprie succursali. 

Il regolamento Fifa, automaticamente recepito anche dall’Italia, rischia di stravolgere profondamente le strategie estive, con pesanti ripercussioni a cascata anche in B. Con delle eccezioni, tuttavia. La Cremonese è appena tornata in A valorizzando giocatori come Carnesecchi (Atalanta), Fagioli e Zanimacchia (Juventus), Gaetano (Napoli), Meroni e Sernicola (Sassuolo), tutti avuti in prestito. Potrà continuare a chiedere giocatori alle big, perché per gli Under 21 e i giocatori formati nel club, non c’è limite ai trasferimenti temporanei. In questo scenario, c’è un intreccio con il meccanismo di incentivi e premialità che la B riconosce a chi impiega giovani azzurrabili in funzione del minutaggio, ma questo è un discorso a parte che andrebbe approfondito. Con le nuove norme semmai dovrebbe diminuire quel travaso di giocatori pescati all’estero e lasciati maturare tra i cadetti. Vedremo. 

Considerando solo i trasferimenti internazionali, i prestiti negli ultimi anni rappresentano il 13-16% dei cambi di maglia; nell’ambito dei cinque campionati top la percentuale sale al 22% per l’Italia e al 29% per l’Inghilterra. Nella sua versione “base”, il tesseramento temporaneo è la formula più veloce per chiudere un affare: c’è chi sfoltisce la rosa o manda un giovane a giocare con continuità e chi si assicura un patrimonio tecnico altrimenti impossibile da raggiungere. Nella versione evoluta, con diritto/obbligo di riscatto, è l’applicazione del leasing al gioco del pallone: prima si prova, poi si compra; o semplicemente si compra facendo finta di provare e poi si paga con calma dopo un po’ di mesi. Se consideriamo le 20 squadre dell’ultima Serie A più le tre neopromosse (Lecce, Cremonese e Monza), in rosa hanno complessivamente 135 calciatori arrivati in prestito. La maggioranza dei contratti (87) è stata siglata prevedendo una possibilità di acquisto a titolo definitivo; in 47casi il riscatto poteva diventare (o lo è diventato) obbligatorio. Controvalore: 575,38 milioni di euro. Siamo a oltre la metà dell’intero giro d’affare degli acquisti della A nel 2021-22 (797,87 milioni), anche se non tutto il potenziale si trasformerà in spesa reale. Tra obblighi non scattati e riscatti all’improvviso valutati troppo costosi, saranno in tanti a tornare alla base per poi ripartire. Eccolo, il lato perverso del prestito: si rischia di essere solo una voce del bilancio e mai un nome nel tabellino. 

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