Il cardiologo: “Eriksen può tornare a giocare? Solo se il defibrillatore si può espiantare”

Andreini, responsabile di Monzino Sport: “Bisogna ponderare tutto con estrema cautela prima di arrivare a una eventuale un’idoneità sportiva”

Il professor Daniele Andreini, cardiologo e responsabile di Monzino Sport, prova a fare chiarezza sulle prossime tappe di Eriksen.

Professore, come cambia la vita con un defibrillatore?
“Partiamo dal primo aspetto: è stato impiantato un dispositivo sottocutaneo, meno invasivo di quello classico. Viene riservato ai soggetti più giovani che non hanno bisogno del pacemaker per aiutare il cuore a tenere il regolare battito. I sottocutanei sono più recenti e vantaggiosi. È più agevole sostituire il generatore e ci sono meno rischi qualora si incorresse in una infezione perché non è collegato direttamente al cuore”.

Come mai è stato necessario l’intervento?
“Il defibrillatore è stato impiantato per intervenire qualora in futuro dovesse ripresentarsi una aritmia così grave come successo in campo. Il dispositivo è infatti chiamato salvavita. C’è da fare i complimenti ai colleghi che sono intervenuti sul campo in modo impeccabile in circostanze difficili”.

Ma la possibilità di rivederlo in campo esiste, giusto?
“Per rispondere in maniera adeguata dovremmo avere un quadro clinico completo. Ci sarà una relazione molto circostanziata per dedurre cosa è successo nella fase acuta. E poi per capire la diagnosi reale e precisa. Se il tutto è stato provocato da una aritmia scatenata da un’infiammazione (miocardite, ndr) allora potrebbe essere una delle diagnosi più favorevoli per la prognosi del ragazzo al di là del calciatore. La notizia più importante è che può fare una vita normale. Ci vorranno dei controlli e non prima di sei mesi sarà possibile capire se il defibrillatore potrà essere espiantato. Ma bisogna ponderare tutto con estrema cautela prima di arrivare ad una eventuale un’idoneità sportiva”.

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