Il bullismo, la malattia: ora Barak è il simbolo del Verona

Il ceco ha segnato anche al Napoli. Con Juric (e Liverani) è rinato dopo anni bui. L’ennesima reazione di chi da ragazzo ha dovuto fare i conti con malelingue e medici

Ama il basket, il tennis e il surf, ma per fortuna ha scelto il calcio. Antonin Barak a 4 anni faceva il portiere, alla terza pallonata in testa ci ha ripensato. Con quel sinistro ci sapeva davvero fare, impossibile restarne indifferenti. Da ieri ne sa qualcosa pure Meret, punito con un diagonale chirurgico (quello del 2-1) che ha contribuito ad affondare il Napoli. Il Verona non lo batteva in campionato dal marzo 2015, ennesima impresa di un girone di andata da 30 punti. Quattro i gol di Barak, che ha già segnato il doppio della scorsa stagione. Due al Benevento (primo straniero del Verona a fare doppietta dai tempi di Mutu) uno al Milan e al Napoli. A settembre è arrivato dall’Udinese in prestito con obbligo di riscatto, un affare complessivo da 11 milioni di euro che lo renderà l’acquisto più costoso della storia gialloblu. Una rivincita niente male per chi nella vita ha sempre dovuto rincorrere.

Sofferenza

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Un fisico che tardava a svilupparsi, una sindrome da affaticamento cronica contro cui ha dovuto combattere fin dai 17 anni. Tutta colpa di una malformazione congenita alla spina dorsale, assestata solo con 9 mesi di riposo ed esercizi quotidiani consigliati da medici specializzati. Antonin ha conosciuto la sofferenza anche nel calcio: è cresciuto nel Dukla Pribram, squadra della sua città. L’allenatore delle giovanili era il padre, stimatissimo in Repubblica Ceca: “Nessuno dà ai bambini più dei genitori”, il suo motto. Lo faceva correre intorno al cottage di famiglia: “Sei troppo lento”, gli ripeteva e Antonin ripartiva. Nel mezzo un lavoro specifico sull’uno contro uno e i tiri in porta. Ma nello spogliatoio erano tante le malelingue, che accusavano Barak di godere di un trattamento privilegiato. Arrivato in prima squadra, un compagno gli rese la vita impossibile: “Ero davvero stanco. Tornavo a casa e piangevo”, racconterà. Di qui la scelta nel 2016 di cambiare aria e di accettare l’offerta dello Slavia Praga, con cui vincerà il titolo da protagonista guadagnandosi Nazionale e Udinese: “Vogliamo l’Europa League, sei dei nostri?”, gli chiede Pozzo al telefono. Il primo anno italiano è da record, 7 gol da mezzala insieme all’amico Jankto. Il secondo un incubo, con la lombalgia che lo perseguita e lo tiene fuori sei mesi. Il terzo fa rima con panchina, perché Tudor e Gotti non lo vedono.

Altra vita

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Barak, che odia i traslochi, decide allora di preparare un paio di valigie e di partire direzione Lecce. In tv è rimasto colpito dal gioco di Liverani, che lo rilancia e che lo avrebbe portato con sé anche a Parma. In Puglia gli offrono subito un pasticciotto, che lo strega insieme al mare e al calore della gente. Diventa pure padre di Tonik: è agosto e si trova a pranzo con la sua Nikola, che sente le prime contrazioni: “Vai pure, avremo ancora qualche ora”, lo tranquillizza, perché Antonin nel frattempo è atteso in tv per commentare la Champions. All’intervallo della partita gli squilla il cellulare, lo avvisano del parto imminente. Da lì la corsa disperata in ospedale. In campo non evita la retrocessione ma ne gioca 15 su 16 da titolare preparandosi per Juric: “Non ho mai vissuto allenamenti così duri, neanche nei giorni peggiori a Udine o Lecce”, confida. Almeno 10 chilometri a seduta, per questo ne percorre di media 11 a partita (solo Faraoni fa meglio). Piedi da trequartista (terzo per passaggi chiave dietro a Zaccagni e Dimarco), polmoni da esterno.

Furia ceca

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Un po’ come Nedved, il suo idolo: “E’ un giocatore da top club”, disse di lui Pavel nel 2018: “Il nostro obiettivo? La salvezza”, le parole di Barak dopo il successo sul Napoli, dette con il sorriso tipico di chi è il primo a non crederci: “Ma anche Ranieri diceva così quando era in testa con il Leicester…”. Il sogno Europa è lì, alla portata. Il Verona e Antonin non si vogliono fermare.

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