Il Bayern è un esempio di corretta gestione, ma il rovescio della medaglia fa riflettere

TORINO – Tra le società europee da prendere ad esempio, in cima alla lista figura senza dubbio il Bayern Monaco. Il club bavarese pianifica con attenzione ogni tassello della propria crescita, in campo dove il suo dominio in Bundesliga non è più soggetto a discussione ormai da un decennio e fuori dove un’oculata gestione amministrativa permette di tenere sempre sotto controllo il bilancio. Stadio di proprietà (l’avveniristico Allianz Arena inaugurato nel 2005 con un debito di 346 milioni da spalmare in 25 anni, ma saldato interamente dopo soli nove anni), merchandising, una profonda identificamente con il territorio e una sensibilità spiccata verso le proprie leggende come testimonia il board dove compaiono in posizioni chiave ex del calibro di Franz Beckenbauer, Oliver Kahn amministratore delegato e Hasan Salihamidzic, direttore sportivo. E ogni estate i campioni di Germania, con poche e calibrate mosse, rinnovano la propria forza rispetto alla concorrenza interna: Sadio Mané, Ryan Gravenberch e Noussair Mazraoui sono gli ingaggi copertina della prossima Bundesliga, ovviamente griffati Bayern. Tutto limpido, tutto molto bello… Eppure sotto il tappeto finiscono le ruggini di tensioni che non sempre restano confinate all’interno del centro sportivo di Säbener Straße. Il caso Robert Lewandowski, il bomber da 344 gol in 375 presenze, che con il contratto in scadenza nel 2023 ha esternato la sua volontà di cambiare aria in anticipo, mette a nudo un’insofferenza latente. Nelle ultime stagioni sono tanti i campioni che hanno salutato allo scadere del proprio contratto lasciando cadere ogni tentativo di rinnovo: il nazionale Niklas Süle, il campione del mondo Corentin Tolisso, la scorsa stagione David Alaba e Javi Martinez oltre a calibri da novanta come Toni Kroos e Miroslav Klose. Senza dimenticare il ritiro di Philip Lahm, storica bandiera del club, nel 2018 che rifiutò di proseguire il suo percorso in società, nel ruolo di direttore sportivo, per contrasti sui poteri e sul mancato ingresso in consiglio di amministrazione. Un no che irritò molto Karl-Heinz Rummenigge, altra icona, a quel tempo amministratore delegato. Piccoli intoppi che comunque non macchiano il blasone del Bayern Monaco che prosegue la sua corsa verso altri trofei, sempre a testa alta. E con i conti in ordine.

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