I razzisti di curva salvi per 12 minuti

Dodici minuti non sono così lunghi. Al Mondiale in Qatar ci sono stati recuperi di portata maggiore. Esistono canzoni che durano molto di più senza perdere ritmo, tensione, poesia. Eppure dodici minuti bastano a rovesciare una sentenza, a salvare dalla squalifica una tribuna in gran parte impegnata a riversare su un giocatore, Romelu Lukaku, «beceri e insultanti cori e grida di discriminazione razziale». I dodici minuti di ritardo – ore 14.12 invece che le 14 del giorno feriale successivo a Juve-Inter di Coppa Italia – con i quali la procura federale ha trasmesso la propria relazione al giudice sportivo: per questo il ricorso della Juve è stato accolto e la squalifica del settore è stata cancellata. Beninteso che quel primo anello della tribuna sud dell’Allianz Stadium fosse ampiamente colpevole è scritto nella sentenza di primo grado: «I collaboratori della procura federale dichiaravano che tali gravi manifestazioni (…) provenivano dalla maggioranza dei 5.034 occupanti». Per gradire, anche ieri quando Lukaku è entrato in campo dal settore bianconero qualcuno ha ricominciato a offenderlo, come se nulla fosse. 

Lukaku, protagonista e vittima

Dodici minuti non sono così brevi. Dopo il Big Bang, a quel punto esistevano già gli elementi necessari a comporre la vita, l’universo e tutto quanto. Ma può essere che un ritardo inferiore a quello che chiunque di noi sperimenta alle fermate d’autobus sia sufficiente a cancellare un episodio di razzismo, obliterarlo dalla cronaca, riportare il mondo a un ordine illusorio e a un’innocenza artificiale? A quanto pare, sì. Sono le regole. Anche se la procura dà la colpa di tutto a problemi di trasmissione, peraltro non dimostrati. E anche se quel termine delle 14, asserisce sempre la procura, non era stato considerato perentorio in casi precedenti. Del resto, la leggenda spicciola del calcio riporta storie di contratti di giocatori piegati ad aeroplanino e lasciati planare oltre una porta che si chiudeva. E di ingaggi sfumati per una mail rimasta prigioniera in un server. Qui però siamo oltre il gioco. Nel mondo grande in cui dodici minuti di insulti sono eterni. In cui a una procura, ancorché sportiva, si richiede efficienza e a un organo giudicante sensibilità e decisione nei confronti di una questione odiosa come il razzismo. Lukaku, protagonista e vittima di quella serata da stridore di denti, ieri c’era non perché riqualificato bensì perché graziato, nel rispetto delle regole. Ma oggi sappiamo che dodici minuti rendono lecito ciò che prima era vergognoso. Normale, in una società dalla memoria corta. 


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