Gol senza età: Ibra, Dezko e Giroud. Con la maturità si segna meglio

Inter, Milan e Juve si affidano a bomber ultratrentenni. Il Napoli si tiene stretto Mertens. Cannonieri da una vita, vogliono stupire ancora

Andrea Elefante

17 agosto – Milano

Il gol è maturo. Dicasi di occasioni da rete prossime alla realizzazione, ma anche del linguaggio offensivo che parleranno le nostre big (e in generale il campionato). Il centravanti è ultratrentenne, in Serie A. E Inter, Milan e Juve, in rigoroso ordine di apparizione finale nello scorso campionato, si apprestano a leggere la prima di campionato sfogliando queste enciclopedie dell’arte di attaccare la porta: Edin Dzeko, 35 anni; Olivier Giroud, 34 anni (35 fra poco più di un mese); Cristiano Ronaldo, 36 anni. Si farà un po’ attendere il totem del gol senza età, Zlatan Ibrahimovic, che va per i 40. E tarderà anche un po’ più di lui, si parla di fine settembre, Dries Mertens, uno che con la maglia del Napoli ha segnato più gol di Maradona, e abbiamo detto tutto. In cinque, fanno quasi 1200 gol in carriera realizzati nei cinque migliori campionato europei, secondo i dati Opta. C’è chi non ha perso tempo, con le rispettive nuove squadre: Dzeko e Giroud. Chi non ne ha mai perso da quando gioca: Cristiano Ronaldo. E chi ha tempo per recuperare quello che sta “perdendo” per rilucidare il motore: Ibrahimovic e Mertens. Ma giocatori così non hanno fretta: la stagione è lunga, il loro segreto è stato (anche) la modalità “lunga conservazione”. L’arma in più è l’esperienza, il saper annusare l’odore dei gol che pesano. E quelli di solito non si segnano ad agosto.

L’OCCASIONE RECIPROCA: UN PATRIMONIO DA INTER

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Edin Dzeko ne ha già segnato uno, sabato scorso, appena messo piede in campo con la maglia dell’Inter. Non sembrava ce l’avesse addosso per la prima volta, ma quello è il tocco in più di chi sa mescolare qualità e mestiere, di chi fa sembrare facile quello che per altri sarebbe almeno complicato. Dzeko era quanto di meglio l’Inter potesse permettersi per non sentirsi nuda dopo aver perso nel trasloco verso un bilancio più sano l’armadio Lukaku. Dzeko è l’esemplificazione più riuscita di quale sia, e come giochi, un centravanti “totale”, prima ancora che “moderno”. Il bosniaco vede la porta almeno quanto è capace di farla vedere ai compagni e di quanto la mostrerà all’Inter. Dzeko significa gol segnati, certo, e alla Roma ne ha regalati tanti, ma anche fatti segnare. Non cambierà Dna perché quello è il suo da sempre: negli ultimi anni semmai lo ha accentuato per essere coerente con una delle sue qualità principali, l’intelligenza non solo tattica. E un centravanti intelligente sa che, con il passare del tempo, l’area diventa un territorio sempre più minato: bisogna saperci arrivare, non bivaccarci a rischio di essere circondato. Dzeko non cambierà anche perché sa di poter essere un’occasione per l’Inter quanto l’Inter può esserlo per lui. In sei stagioni con la Roma ha dimenticato il sapore del trionfo che aveva assaporato cinque volte con il Manchester City: la missione nerazzurra di non rendere episodio isolato lo scudetto dell’anno scorso sarà anche la sua.

GENEROSITÀ CHAMPIONS: CON O SENZA IBRA

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Olivier Giroud sta per iniziare la sua dodicesima stagione ad alto livello – a molto alto, la decima – nel terzo campionato europeo top, dopo Ligue 1 e Premier. Al Milan porta in dote l’esperienza “totale” fatta con Arsenal e Chelsea e 110 partite giocate in Nazionale, spalmate su dieci anni. La Champions League, che il Milan tornerà a giocare dopo sette anni, è stata un giardino dove il francese ha passeggiato 41 volte: l’anno scorso ha segnato più in Europa che in Premier, insomma sa come si fa, e questo sarà molto utile ad una squadra che il collaudo se lo sta facendo sulla sua pelle e avrà bisogno di (altre) spalle forti a cui appoggiarsi. Quelle di Giroud non sono larghe cone quelle di Ibrahimovic, ma abbastanza da non farle rimpiangere, se e quando mancheranno. E non così ingombranti da non poter dividere con lo svedese spazi e doveri offensivi: non a caso Pioli sta lavorando per studiare anche una loro coesistenza. Non sono così egoiste da non poter collaborare con Rebic e con Leao. Un cucitore di gioco e di reparti, che offre alla sua squadra la generosità di richiamare attenzioni per distoglierle dai compagni e il primo pressing che rende più lieve quello dei centrocampisti. Giroud e Ibra sanno essere – non sempre sono – egoisti in modo diverso, e uguali nell’accompagnare la squadra verso la porta, nel farla salire appoggiandosi a loro e alle loro sponde. Di tutte le squadre in cui ha giocato, pur quando non segnava tanto, si è sempre detto che sentivano la mancanza del francese, quando non c’era: il Milan si augura di averlo quasi sempre, ne avrà bisogno.

PER LO SPOSTA MONTAGNE LA CENTESIMA SFIDA

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La squadra di Pioli non avrà subito, in attesa che finisca di “spostare le montagne” (cit. sé medesimo, su Instagram), Zlatan Ibrahimovic, impegnato nella centesima sfida della sua vita calcistica. Ovvero essere più forte di un ginocchio che cigola, zittire coccolandolo (a modo suo, cioè con un lavoro feroce quanto la sua forza di volontà) quell’ingranaggio così delicato e soprattutto chi diffida della scelta fatta dal Milan: un contratto da sette milioni ad un giocatore costretto a stringere i denti ad ogni giorno di allenamento. Ma la migliore faccia dell’Ibra calciatore è quella, quando digrigna i denti e fa sentire più forti i compagni che sceglie di portare in guerra con lui, generale ancora decisivo per le strategie di battaglia e rifornimento delle truppe. Nei suoi primi cinque mesi rossoneri segnò 11 gol, l’anno scorso 15 in 19 partite di campionato: quasi uno a partita è una media da totem, giocare una gara su due è una media che non piace anzitutto a lui, almeno quanto fare calcoli di energie nel momento in cui è in grado di scendere in campo. Ma con una Champions League da riscoprire e da onorare potrebbe essere la scelta migliore, non solo inevitabile.

OSSESSIONE DA 101 GOL E IL DOMINATORE ALLEGRI

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Lo sarebbe forse anche per Cristiano Ronaldo, un altro che però nei suoi tre anni juventini è sempre sceso in campo in almeno 40 partite stagionali (nell’ordine 43, 46 e 44). Difficile pensare ad un allenatore che possa saperlo “domare” meglio di Allegri, ma la vera missione, per l’allenatore, sarà sapergli trovare un’interpretazione coerente con uno spartito che vive anche dello sfruttamento di altre qualità. Ma senza fargli perdere una (sana) ossessione per il gol, quella che lo ha portato a segnarne 101 in tre stagioni bianconere. Ossessione per la Juve è la Champions, che per Ronaldo è un desiderio incompiuto da quando ha lasciato, sicuro di poter essere profeta anche altrove, quel Real che di questi tempi è tornato a strizzargli l’occhio: ex patria di Galacticos che oggi CR7 vede brillare soprattutto sul cielo di Parigi. Forse con un pizzico di invidia.

IL NUOVO RUOLO DI CIRO. E NON SOLO IN CAMPO

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A 34 anni, Mertens non invidia chi nel Napoli ha quel posto da titolare assicurato che un tempo fu suo: Osimhen è il futuro, è una forza della natura, e la natura ha spiegato al belga che il calcio di oggi, con cinque sostituzioni e una partita ogni tre giorni, offre a chi ha energie che sanno sprigionarsi all’improvviso, e anche velocemente, chance importati per essere comunque determinante. Gli ha sussurrato che si può riciclare, reinventare anche in un ruolo diverso: non solo tattico, e quello che Ciro ha nello spogliatoio del Napoli sarà importate quasi quanto i gol maturi che sicuramente segnerà. Ancora.

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