Gli arbitri e il problema Var: tre proposte contro il caos

La confusione attuale sull’uso della moviola in campo deriva da continui cambi di rotta: invece le regole all’accesso all’aiuto tecnologico devono essere chiare

Scusate se parliamo ancora di arbitri. È un argomento subdolo e scivoloso, dal momento che spesso viene invocato dai perdenti per giustificare le loro sconfitte, ed è figlio di una cultura del sospetto che, anche nel calcio, in Italia è molto radicata.

Però quanto successo nel weekend rafforza la necessità di dare una risposta urgente almeno ad alcuni degli interrogativi sollevati da questa rubrica la settimana scorsa. Non sono soltanto chiacchiere da Var: si tratta, per garantire la regolarità del campionato, di rendere il più possibile uniformi le modalità di accesso all’aiuto tecnologico. I protocolli internazionali sono noti, ma evidentemente insufficienti nella loro vaghezza.

In Serie A, negli ultimi due anni, si è passati da un utilizzo piuttosto limitato, in linea con le indicazioni dell’Uefa, alla scelta di ricorrervi praticamente sempre in caso di dubbio (nell’ultima stagione), al ritorno, visto quanto accaduto agli Europei, alla logica del “chiaro ed evidente errore”, per poi accorgersi che non era abbastanza e arrivare al caos attuale. Francamente, la sensazione è che oggi il richiamo alla video review dipenda troppo dai rapporti, gerarchici o psicologici, che intercorrono fra arbitri di campo e addetti ai Var.

Dai vertici della categoria non sono arrivati finora chiarimenti convincenti. Si fa presto a dire che gli arbitri e i loro dirigenti dovrebbero comunicare meglio, lasciarsi cioè intervistare anche subito dopo le partite per spiegare le loro decisioni. Il nuovo designatore Rocchi, in seguito alle polemiche della domenica, in effetti ha optato per un intervento radiofonico: per affermare che tutti gli arbitri si sono comportati ottimamente e che quello del ricorso al Var è un “meccanismo da oliare”. Utilità di questo modo di “metterci la faccia”: zero.

Giusto per provare invece a entrare nel merito, ecco uno schema di nuovo protocollo che si potrebbe discutere a livello internazionale. Si deve ricorrere al Var 1) in caso di chiaro ed evidentissimo errore, di quelli proprio indiscutibili, su chiamata della regia; 2) su richiesta di uno dei due allenatori in panchina (uno o due volte per tempo); 3) sempre in caso di dubbio dell’arbitro sulla sua decisione.

Poi esiste il problema di come si esaminano le immagini. Il Var non può essere un microscopio che ingigantisce legittimi o inevitabili contrasti e tocchetti di mano o braccio. Il calcio è sport di contatto e ci può non essere fallo non soltanto quando il fatto non sussiste, ma anche quando il fatto non costituisce reato. Sulla Serie A stanno ricominciando a piovere calci di rigore: 44 in 90 incontri, per una media di 0,49 a partita. In Premier League ce ne sono stati 21 in 90 incontri, media 0,23. In Bundesliga la media è 0,28, in Spagna 0,34 e in Francia 0,31. È del tutto evidente che c’è qualcosa che non torna. Da noi si arbitra in un modo che non ha riscontri nel resto d’Europa. Anche questo andrebbe spiegato. Siamo tornati alla media (0,49) della stagione 2019-20 quando gli attaccanti miravano mani e braccia dei difensori per ottenere il penalty. L’anno scorso qualcosa era cambiato: meno rigori di mano e media scesa a 0,39, sempre record d’Europa ma con differenze più accettabili. Adesso qualsiasi incrocio di gambe viene punito con il rigore. Poi le squadre italiane vanno a giocare nelle Coppe europee e si ritrova l’unità nazionale nel gridare ai furti arbitrali dell’Uefa…

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