Galbiati voleva dire fiducia

Per spiegare e raccontare al pubblico dei più giovani appassionati di calcio italiano la figura gigantesca di Italo Galbiati, 85 anni, spentosi ieri mattina nella sua adorata Milano, basterebbe mettere in fila indiana il commosso ricordo dei suoi allievi più prestigiosi. Da Chicco Evani a Franco Baresi, da Filippo Galli a Daniele Massaro, ciascuno di loro ha testimoniato la bravura del maestro di calcio, capace di migliorare le rispettive abilità durante gli anni del settore giovanile e in quelli successivi da maturi professionisti, finiti in serie A, con il Milan e non solo, e capaci di vincere scudetti e trofei internazionali. Pensate al tributo di Ibrahimovic, conosciuto e “svezzato” alla Juventus: in una recente intervista a un giornale svedese, Ibra confessò il seguente dettaglio: «Quando arrivai in Italia non sapevo calciare prendendo la porta, avevo il collo del piede molto alto e perciò avevo bisogno di cambiare la postura del corpo per centrare la porta. Italo Galbiati è stato fondamentale». E qui di testimonianza in testimonianza, potremmo continuare per cento righe ma sarebbe semplicemente riduttivo rimpicciolire la figura di Italo a quella di semplice maestro-addestratore.

La grande qualità

Galbiati è stato molto di più grazie soprattutto alla sua innata qualità di “indovinare” il talento in un ragazzino impegnato nei primi calci al pallone: era una specialità coltivata durante il prezioso lavoro svolto nel settore giovanile del Milan che divenne la forza del club di quegli anni (settanta) a tal punto da offrire una intera generazione di protagonisti agli allenatori dell’epoca. Paolo Maldini, Billy Costacurta, Franco Baresi, Filippo Galli, Chicco Evani, Icardi, Mandressi, Carotti, Tassotti post-laziale furono i frutti caduti dall’albero di Italo Galbiati che divenne poi una colonna dello staff tecnico rossonero (per 18 anni). Dimenticò la delusione provata da responsabile di prima squadra (la retrocessione in B a Cesena col Milan di Farina), grazie ai trionfi euro-mondiali dell’epoca di Berlusconi e Sacchi. Il suo rapporto con Arrigo fu sulle prime scandito da scetticismo, poi ne divenne uno dei principali “traduttori”. E a Milanello c’è chi ricorda addirittura che fu proprio Galbiati a “inventare”, con il suo pupillo Franco Baresi, l’”elastico”, lo scatto del libero rossonero correndo avanti e indietro per lasciare gli attaccanti rivali in clamoroso fuorigioco!

Il rapporto con Capello

La “ditta” con Fabio Capello – che è andato a trovarlo di recente, quando le condizioni di salute erano peggiorate – fu quella più duratura e proficua. Lo seguì dopo il Milan al Real Madrid, alla Roma dell’ultimo scudetto, alla Juve e poi alle nazionali inglese e russa in riconoscimento solenne della sua abilità nell’insegnare calcio. Al Milan regalò anche preziosi suggerimenti da osservatore. Il 5 novembre del 1997, spedito a Barcellona per assistere a Barça-Dinamo Kiev, scoprì le virtù di un giovanissimo Shevchenko. Al ritorno scrisse una relazione di poche righe conclusa da una frase, la seguente: «Superfluo aggiungere altro: È DA MILAN». Nell’85 dopo un paio di partite dell’Atalanta, mise per iscritto: «Donadoni da prendere per la nostra prima squadra».


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