Gabriele Sandri, nove anni fa la morte. Il ricordo del fratello Cristiano

di Redazione Blitz

ROMA – Nove anni fa, l’11 novembre 2007, un colpo di pistola uccise Gabriele Sandri, un tifoso della Lazio che stava andando a Milano per seguire la sua squadra. Quel giorno si giocava Inter-Lazio.

Nell’autogrill di Badia al Pino, lungo l’autostrada A1 in direzione Firenze, scoppiò una rissa tra tifosi laziali e juventini. Poi la tragedia. Parte un colpo di pistola. Muore un ragazzo, “Gabbo” per gli amici. Gabriele Sandri morì quel giorno, per un colpo di pistola al collo sparato dall’agente Luigi Spaccarotella della Polstrada (poi condannato dalla Corte di Appello di Firenze ad una pena di nove anni e 4 mesi per omicidio volontario, confermata definitivamente in Cassazione nel Febbraio del 2012).

Una tragedia che sconvolse il calcio intero. Nove anni sono passati e il fratello di Gabriele, Cristiano, lo ha voluto ricordare così ai microfoni di RadioSei:

“Stiamo attraversando, parlo come famiglia, un momento di attenta riflessione. Nel 2017 entreremo nel decimo anno dalla morte di Gabriele, il Cda della fondazione è in scadenza e, proprio in tal senso, domani incontrerò il capo della segreteria della sindaca Virginia Raggi, il dottor Salvatore Romeo. Il percorso della Fondazione poteva e doveva essere accompagnato con un cammino diverso, intendo dire che l’attività della stessa andava “spersonalizzata” dalla nostra famiglia, la Fondazione non può dipendere essenzialmente da due sole persone, anche perché, come era facilmente immaginabile, dopo l’emotività seguita alla morte di Gabriele, era normale che l’attenzione lentamente scemasse. Con la fondazione sono cresciuto e come uomo mi sento arricchito, penso ai diversi gruppi di donatori sangue in tutta Italia, e ringrazio chi ha gestito questi momenti importanti che non sempre sono stati adeguatamente sottolineati.

La Fondazione ci ha aiutato a superare l’accaduto? Era stata pensata come modalità per ricordare Gabriele con iniziative positive, si è costituita proprio come fondazione per strutturarla a livello nazionale piuttosto che con un’associazione o con un comitato promotore. Abbiamo fatto molto per far emergere la cultura del calcio, per non far apparire il tifoso solo come semplice becero che accompagna 11 scemi in mutande come da pensiero radical chic. Ripeto, la Fondazione forse doveva esser spersonalizzata, perché noi avremmo comunque l’affetto della gente. La fondazione deve trovare una mission diversa rispetto a quella, in qualche modo, siamo stati obbligati a collocarci. Sostanzialmente portare avanti la Fondazione nel tempo è diventato quasi il nostro primo lavoro, se la Fondazione deve esistere ciò accadrà su altri presupposti. Una cosa così importante va portata avanti in un modo importante, con un sostegno diverso rispetto a quanto accaduto finora”.

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