Friedkin, il silenzio non paga

Non si spezza un’emozione con il chiasso della pubblicità. Ma ci sono altri modi. Il silenzio, testardo, enigmatico, rigido, per certi versi irridente è uno di questi. Probabilmente nel caso di Dan e Ryan Friedkin il silenzio nei confronti di Mourinho non vuole esprimere nulla di tutto ciò. È soltanto un modo di essere e una tattica di gestione della cosa privata. Anche a Houston del resto ricordano la famiglia attualmente proprietaria della Roma come una realtà sociale discreta e a sé stante, ben poco mondana e mai appariscente. Anzi, in tanti non se la ricordano affatto per gli stessi motivi. Bisogna ammetterlo: funziona, visto il piccolo impero economico, turistico, artistico, spettacolare che hanno costruito. Persino nella loro inizialmente timida esplorazione del mondo del calcio i Friedkin hanno esercitato il proprio stile. Con un’ambizione nitida e benvenuta. Nel silenzio assoluto hanno ingaggiato José Mourinho, facendolo apparire in un flash sulla scena di una città che si aspettava tutt’altro. Nel silenzio di pietra hanno corteggiato e convinto Paulo Dybala, anche se lì sono stati meno efficaci nel nascondino e alla fine siamo arrivati a capire in anticipo che cosa stesse succedendo. Come si diceva un tempo a Roma, il santaro puoi imbrogliarlo una volta sola. Dopo tanto bendidio la proprietà del club adesso tace con Mourinho e questo francamente è strano.

Il silenzio con Mourinho

Tace davanti a un allenatore a cui erano state affidate tutte le sorti di una squadra costruita, almeno in prima istanza, per produrre il massimo risultato con il minimo sforzo politico e finanziario, elegante contraddizione tra scopo e mezzo. Tace di fronte a un tecnico capace di conquistare ventisei trofei in carriera, dal minimo al massimo, e che non più tardi di un anno fa ha portato la Roma alla prima vittoria europea della sua storia. O alla seconda, per le statistiche più indulgenti. Tace di fronte a un uomo di calcio che ha fatto sapere di essere pronto non solo a rispettare il contratto che lo vorrebbe giallorosso per un’ulteriore stagione ma pure a discutere di un rinnovo. Perché il suo lavoro, lo sa bene, non è finito e Mou ha sempre detestato quell’insipido aroma di cose lasciate a metà. A Mourinho puoi dire un mucchio di cose. Che non ti piace la sua strategia di gioco, la sua attitudine a lasciar giocare male la squadra purché questo conduca gli avversari a giocare peggio. Che non si fanno amare la sua aria di aristocratico magistero, l’impressione che dà di considerarsi sempre il più intelligente nella stanza, il suo atteggiamento nei confronti degli arbitri presi costantemente a esempio di quanto c’è nel mondo di iniquo e di prepotente, i suoi argomenti di distrazione di massa.

Mourinho conosce il suo mestiere

Puoi dirgli pure che l’equilibrio di bilancio è alle basi della sostenibilità di un club o che le regole del fair play finanziario non si piegano alla volontà assoluta di nessuno, neppure di un signore Sith della Champions League. Puoi dirgli tutto questo, comunque prendendo atto che una popolazione di tifosi di rara intensità lo vuole esattamente così e che un’intera squadra si ribella alla prospettiva di non averlo più al fianco e uno stadio tra i più popolati dà fondo a tutte le sue risorse pur di aiutarlo a superare gli ostacoli. Pur di persuaderlo che non troverà mai nulla di simile altrove. Non puoi dirgli che non sa fare il suo mestiere. Lui conosce il calcio a menadito e, a differenza di uomini d’affari brillanti ma inconsapevoli e un po’ spaesati, conosceva Roma prima ancora di arrivarci da console. Vinceva tutto con l’Inter quando coniò proprio per i giallorossi una delle sue espressioni più celebri, zero tituli. Puoi dire un mucchio di cose a Mourinho. Ma devi dirgli qualcosa. E presto, anche.

Roma, Mourinho deferito: ecco cosa rischia

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