Friedkin cerca soci: fondo Usa come partner per puntare alla Champions

Il presidente dà la caccia alla liquidità necessaria per entrare tra le prime quattro. Stadio di proprietà: c’è l’ipotesi Olimpico

Ci sono storie d’amore che fanno perdere la ragione, altre invece che – pur prendendo viscere e cuore – non fanno mancare di lucidità nell’analisi di sogni e bisogni. Per certi versi, è quanto sta succedendo alla Roma, dove la famiglia Friedkin, pur elargendo passione e denaro nel delineare il profilo della sua “creatura”, sta capendo come le leopardiane “magnifiche sorti e progressive” che dovevano materializzarsi a breve, forse avranno bisogno di interventi più strutturali. Insomma, non si può vivere di solo Mourinho, tanto più che – toccato con mano quanto sia difficile procedere alle cessioni degli esuberi e ad abbassare il monte ingaggi – sul fronte degli acquisti si rischia qualche ritardo rispetto alle attese.

Fondi Usa

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D’altronde, i numeri del bilancio in chiusura fra otto giorni saranno quanto meno impegnativi. Solo al 31 marzo scorso, infatti, il rendiconto dei primi nove mesi denunciava un indebitamento pari a 291,7 milioni e un patrimonio netto negativo di 42,1 milioni. Solo la nuova legislazione economica per fronteggiare la pandemia di Covid consente di far spostare gli interventi strutturali più avanti nel tempo, proprio com’è successo con i paletti del financial fairplay. Se a questo si aggiungono perdite per 108,3 milioni – che a fine giugno potrebbero arrampicarsi a circa 150 milioni – si capisce come i Friedkin abbiano in mente un cambio di strategia. Una cosa è certa: i nuovi proprietari, oltre ad aver pagato la Roma 199 milioni ed essersi accollati i tanti debiti, non hanno lesinato finanziamenti, ormai giunti quasi a quota 200 milioni. Il problema, però, è che i ricavi non salgono, perché la caccia agli sponsor è sempre complicata, così come l’emergenza Covid non dà certezze di una rapida via d’uscita. Per questo si sta lavorando per cercare soci di minoranza nel mondo dei fondi statunitensi, che garantiscano liquidità e, in prospettiva, soluzioni strutturali. D’altronde, il Milan (con Eliott), l’Inter (con Oaktree), lo Spezia (con Alk-Msd) e lo stesso Parma (col Krause Group) hanno attinto, con modalità diverse, a finanziamenti “made in Usa”. Presto perciò, magari quando sarà varata una nuova ricapitalizzazione che seguirà a quella di 210 milioni in procinto di chiudersi, potrebbe esserci l’occasione opportuna per aprire le porte ai nuovi partner. Col senno di poi, raccontano a Trigoria, per cercare di evitare l’errore fatto dal presidente Pallotta, quando, nel gennaio 2013, non trovò l’accordo per l’ingresso del magnate cinese Chen Feng, interessato alle quote di minoranza di Unicredit. Insomma, c’è bisogno di finanziamenti veri, ed iniziative sia pur lodevoli come l’espansione dei social in Cina (4 nuovi profili sulle piattaforme Douyin, Toutiao, WeChat Channel e DongQiuDi) paiono pannicelli caldi su problemi più grandi.

Tentazione Olimpico

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L’insoddisfazione dei Friedkin, poi, si palesa anche sul fronte nuovo stadio. Accantonare l’ingombrante eredità di Tor di Valle è già di per sé faticoso, ma l’individuazione e il finanziamento di un impianto in una nuova area non sembra semplice in una realtà a bassa redditività come il calcio italiano. Così incomincia a prendere quota l’idea di una “acquisizione” dell’Olimpico per poi ristrutturarlo profondamente. Inutile dire che sarebbe una situazione meno dispendiosa e che avrebbe parzialmente quei requisiti che la nuova Roma richiederebbe, a partire dall’inserimento nel tessuto urbano. Tutto questo, naturalmente, non significa affatto un abbassamento dell’asticella. Per la prossima stagione infatti, anche per favorire l’ingresso di un partner, resta fondamentale l’ingresso in Champions League e, con questo obiettivo, gli investimenti non saranno lesinati. Poi toccherà a Mourinho fare la differenza.

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