Fra la moglie Luna e le meteoriti, riecco Berni: “Quanto manca la panchina dell’Inter…”

La Luna, la Lazio, l’estero

(Photo by Marco Luzzani – Inter/FC Internazionale via Getty Images)

L’Inter, San Siro, la Luna, Tommaso e quella panchina. Una storia unica, un punto di vista speciale sugli eventi, un attore non protagonista di un film lungo sei anni che ha visto i nerazzurri cadere, rialzarsi, rinascere. Tommaso Berni non ha mai perso il sorriso, nemmeno quando le possibilità di giocare erano poche e quelle di vincere altrettante. Il portiere fiorentino classe ’83 è cresciuto osservando gli allenamenti di Ronaldo il Fenomeno e ha chiuso il cerchio nel 2014, quando è atterrato a Milano dopo cinque stagioni alla Lazio e quelle all’estero fatte di prime volte e qualche rimpianto. Da qualche anno Tommaso è anche ‘allunato’: ha conosciuto la ‘sua’ Luna, si è sposato, è diventato padre poco prima del lockdown. Ciò rende più speciale il suo 2020, l’anno in cui ha detto addio all’Inter.

Tommaso, il suo addio all’Inter è ancora fresco: che momento sta vivendo?
È stato un anno molto strano e particolare per tutti: nonostante questo per me è stato bellissimo. Il 3 marzo è nata la mia prima figlia ed è stato fantastico. Sto facendo il papà a tempo pieno, mi sto godendo questo momento insieme alla mia piccina. Sono felice, sto davvero molto bene.

Quando è nata sua figlia?
Poco prima del lockdown. Mia moglie doveva partorire il 4 marzo: tutti ci dicevano che mia figlia sarebbe nata dopo, per fortuna è nata il giorno prima. Abbiamo fatto un parto in acqua a casa. Se fosse nata dopo il 3 non avrei potuto assistere a questo momento magico. Sono un uomo felice perché quattro anni fa ho conosciuto la persona perfetta per me, Luna, che è diventata mia moglie. Abbiamo avuto una bambina e pensiamo di fare anche un altro figlio. Ho raggiunto il massimo nella mia vita. Anche a livello calcistico mi ritengo molto fortunato: sono contento del mio percorso calcistico.

Lei è stato un terzo portiere col sorriso sulle labbra: non è da tutti, non crede?
Per me il calcio è stato una grande passione fin da bambino. Ho cominciato a giocare quando avevo nove anni in tutt’altro ruolo. Ogni momento era buono per tirare un calcio al pallone. La mia carriera mi ha portato a ricoprire questo ruolo. Non si può essere scontenti quando si fa qualcosa che piace così tanto. Potevo sognare di giocare qualche partita in più, ma arrivare all’Inter ha significato andare oltre le mie aspettative. Ho compensato il fatto di giocare poco con il raggiungimento di un traguardo che pensavo inarrivabile. I miei sei anni a Milano sono stati un sogno, come lo sono stati i cinque alla Lazio.

Le manca di più la panchina dell’Inter o quella della Lazio?
Sono belle entrambe. Mi sono giocato tutti i derby d’Italia: un Torino-Juve, un Milan-Inter, un Genoa-Samp, un Roma-Lazio. Tutto quello che ho ricevuto è stato troppo forse, non lo me lo sarei mai immaginato. Nel 1997-98 ero nel settore giovanile dell’Inter: mi allenavo con Castellini ad Appiano e mi fermavo sempre per vedere dal vivo i campioni, da Ronaldo a Vieri, da Baggio a Zamorano. Anche se c’erano 10 gradi sottozero e la neve alta un metro, tutto sudato imploravo Castellini per farmi rimanere. Lui me lo permetteva a patto che non prendessi freddo. Io ero un ghiacciolo, ma sarei stato lì ore e ore.

Lei è stato compagno di Simone Inzaghi alla Lazio: che uomo ha conosciuto?
Da giocatore Simone era un ragazzo divertentissimo ed era già un grande intenditore di calcio. Non mi ha stupito rivederlo in panchina pochi mesi dopo il ritiro e nemmeno che fosse così bravo. Inzaghi ha tanta passione per il suo lavoro. Negli ultimi anni la squadra ha vinto tante coppe disputando grandi stagioni. Sono molto contento per Inzaghi e per gli altri ex compagni che oggi sono ancora alla Lazio. Le partite contro l’Inter sono state sempre belle ed emozionanti. Nel 2018 ci siamo giocati la Champions, l’anno dopo loro ci hanno buttato fuori dalla Coppa Italia. Abbiamo giocato sempre a viso aperto.

Lei ha giocato anche in Inghilterra e in Portogallo: che cosa ricorda di quelle esperienze?
Quella in Inghilterra al Wimbledon è stata fondamentale: lontano da tutti, ho preso la prima casa da solo, ho dovuto imparare una nuova lingua. Poi Londra è enorme e bisognava saperci vivere. Quando sono arrivato ero un ragazzo, lì sono diventato un uomo. Ho vissuto la prima esperienza in una prima squadra e in un calcio speciale, dove c’è una mentalità che ho sposato e che ho amato nel profondo. Sono tornato poco in Italia in quei tre anni: lo facevo soltanto quando venivo convocato in Nazionale.

Ha mai pensato di stabilirsi in Inghilterra?
Ho fatto quasi di tutto per restare in Inghilterra. Purtroppo nel 2003, il mio ultimo anno al Wimbledon, la società stava scricchiolando, l’anno dopo infatti è fallita. È arrivata la chiamata della Ternana, mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco: c’erano grandi ambizioni al mio primo anno, per un soffio non siamo stati promossi in Serie A. 

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