Una volta di più, Paulo Fonseca ha dimostrato che nel Milan comanda lui e, se il Milan fa ciò che dice, il Milan vince. A mezz’ora dalla fine, nonostante la superiorità numerica, nonostante Pulisic in gran spolvero (già 7 gol e 3 assist dall’inizio della stagione), i rossoneri erano già stati raggiunti dal coriaceo Bruges, campione del Belgio, avversario tatticamente bene organizzato che, sino all’espulsione di Onyedika al 40′ aveva fatto dannare il Diavolo (traversa di Ordonez, due grandi parate di Maignan, bel gol di Sabbe). Il merito di Fonseca è stato avere capito al momento giusto quanto fosse necessario cambiare passo: fuori Loftus-Cheek e l’evanescente Leao, dentro Okafor e Chukwueze, subito pronti a schizzare lungo le ali. Un minuto dopo l’ingresso in campo, il nazionale svizzero detta l’assist del 2-1 a Rijnders. Dieci minuti ancora e il nazionale nigeriano imbecca l’olandese, baciato dalla grazia e lesto a fulminare di nuovo Mignolet: 3-1. Che diventerebbe 4-1, catapultando Camarda nella storia del calcio europeo, se il fuorigioco non avesse annullato il suo gol. Ma a 16 anni 7 mesi e 12 giorni, Francesco può essere fiero di sé, il più giovane italiano a esordire in Champions League, sostituendo addirittura Morata, capitano della Spagna campione d’Europa e battendo il record precedentemente detenuto da Kean. Sconfitto da Liverpool e Bayer, al terzo tentativo il Milan ha colto il primo successo nel massimo torneo Uefa. Non tutto ha funzionato a dovere, specie nel primo tempo e, di certo, giocare la ripresa in undici contro dieci è stato un vantaggio. Tuttavia, nel secondo tempo i rossoneri hanno mostrato orgoglio, grinta e solidità di gruppo, all’interno del quale non c’è spazio per l’anarchia, come ha rimarcato Ibrahimovic prima del fischio d’inizio. Tomori e Theo Hernandez hanno capito la lezione. Leao la sta meditando, però deve darsi una mossa: 1 gol in campionato, nessuno in Champions League. Troppo poco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA