Un dolore così è insopportabile. Centoquindici minuti, poi la botta. E gli sguardi persi, e le lacrime dei viola. Una botta terribile, di una violenza emotiva mai provata da questa squadra che pure di sconfitte così ha una certa esperienza. Sei semifinali e tre finali in tre anni non sono bastate per portare a casa un trofeo che la Fiorentina avrebbe meritato. Dopo Roma (finale di Coppa Italia persa contro l’Inter) e Praga (finale di Conference persa contro il West Ham) ora anche Atene si unisce alla triste lista delle città nere per la Fiorentina. È finita allo stesso modo di sempre, la squadra che arriva sull’uscio della coppa e se lo vede sbattere in faccia. Stavolta il dolore è ancora più forte, il gol di El Kaabi a cinque minuti dai rigori lo ha reso davvero tremendo. Questa finale valeva più di una coppa, era una porta su un futuro più luminoso, valeva l’ingresso in Europa League e certificava in modo netto e indiscutibile la crescita della Fiorentina.
Una crescita che comunque c’è stata, anche se molti ricorderanno i tre anni di Italiano con le tre finali perse. Invece conta il percorso e se la squadra guidata da Vincenzo ha giocato 162 partite (compreso il recupero di domenica con l’Atalanta) in tre stagioni significa che ha lottato sempre fino in fondo su tutti fronti. È stato ancora l’ultimo atto a fermarla in quella sottile differenza (che secondo la gente non è poi così tanto sottile) fra una squadra vincente e una squadra perdente. Ok, perdente sì, lo stabiliscono i risultati, ma deludente no. Detto ora, con la pancia vuota dei fiorentini, la rabbia che sale, la depressione che annichilisce e l’amarezza che confonde la mente, sembra una forzatura, ma quando la società farà il bilancio di questo triennio non potrà che ripartire da qui, dalle 162 partite della sua squadra.
Fiorentina, sono mancati i più importanti
L’ultima è stata una sofferenza e almeno quanto i giocatori hanno sofferto i novemila fiorentini volati ad Atene. La Fiorentina ha attaccato, creato e, come al solito, sbagliato. Tanto, troppo. La prima palla di Belotti con un sinistro spelacchiato, la seconda decisamente più clamorosa di Bonaventura (che sbaglia meno degli attaccanti) finita comodamente fra le braccia del portiere greco, la terza volata via dai piedi di Kouame. Quando spingevano, i viola davano l’impressione di poter sfondare, ma anche quella è rimasta un’impressione. La Fiorentina è sempre stata in partita, non ha subìto l’impatto con uno stadio per due terzi biancorosso, ha giocato con personalità, ma per vincere serviva qualcosa di più, serviva quel gol che in questa squadra sembra spesso un miraggio, una speranza vana. Sono mancati i gol e sono mancati i giocatori più importanti, come Gonzalez, Arthur e Bonaventura. Da loro era giusto aspettarsi di più, molto di più.
Finiscono così i tre anni di Vincenzo Italiano, col suo sguardo sgomento mentre abbraccia i suoi ragazzi in mezzo al campo. La delusione è forte, ci vorrà tempo per smaltirla. Tre finali perse una dietro l’altra fanno male, tanto male. E poi bisognerà ripartire. Sì, ma come? E soprattutto per quale obiettivo? Tocca a Commisso fissare il traguardo, tocca alla squadra, alla parte che resterà a Firenze, tentare un altro assalto all’Europa. Per il terzo anno di fila giocherà la Conference League e se andrà di nuovo in finale stavolta non avrà scelta, dovrà vincerla per forza.
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