Fermate Infantino e Ceferin!

Il guaio è che non hanno niente da fare tutto il giorno e allora pensano, e si arrovellano, e spremono i neuroni, e partoriscono idee meravigliose quali il Mondiale ogni due anni (Infantino) e l’attività delle nazionali, qualificazioni et similia, concentrata nel solo mese di ottobre (Wenger).  

Dice: cosa c’entra questo con NapoliJuve e MilanLazio, le prime supersfide stagionali del campionato più saccheggiato dell’estate? C’entra eccome. Domandate ad Allegri, costretto a rinunciare a mezza squadra, dal momento che i sudamericani sono rientrati il giorno della trasferta al Maradona. O a De Laurentiis, il più acceso contestatore di viaggi delle nazionali sulla faccia della terra. O a Mancini che, alla vigilia della sfida con la Lituania, ha dovuto salutarne dieci, compreso l’ingenuo Sensi – uno che negli ultimi due anni ha pagato un conto salatissimo alla sfiga – il quale, dopo aver confessato allo staff azzurro di essere al 50 per cento della forma, ha postato «cari tifosi, domenica ci sarò».  

Da anni ripetiamo che si gioca troppo: 60 partite a stagione espongono i calciatori a rischi eccessivi, ossia a infortuni di varia entità. Nella migliore delle ipotesi, non consentono di recuperare neppure dai microtraumi. Con atleti affaticati anche mentalmente, poi, risulta fisiologico l’abbassamento della qualità dello spettacolo. E adesso che tutti – giocatori, tecnici, presidenti, appassionati e giornalisti – si sono finalmente convinti che la strada giusta sia quella della riduzione di squadre e impegni, la Fifa che fa? Studia come infittire ulteriormente il calendario, perdippiù ipotizzando concentramenti mensili: e le migliaia di calciatori fuori dal giro delle rispettive nazionali, cosa s’inventano a ottobre? Vacanze a Montegrotto?  

Proprio ieri il presidente di un club importante mi ha inviato questo sms: «Il periodo di maggiore crescita e dei principali cambiamenti corrisponde a quando Fifa e Uefa andavano d’accordo, ovvero fino al 2015. Oggi leve su Caf e Conmebol alimentano, attraverso l’attuale governance, solo la continua distorsione del sistema». Fifa e Uefa sono infatti cane e gatto e si sono trasformate da regolatori in organizzatori di eventi a fini di lucro (e di raccolta di voti). La moltiplicazione degli impegni, tra Mondiali, Europei over e under, Coppe d’Africa e d’Asia, Nations League, Champions League, EuroLeague, Conference League e supercoppe, aumenta certamente i ricavi (tv, sponsor) ma deprime lo sport.  

Un altro aspetto del problema sono le differenze, talvolta abissali, tra i valori tecnici: trascurandole per urgenze di consenso elettorale si impongono estensioni illogiche. Giorni fa qualcuno se l’è presa con Gary Lineker per questa affermazione: «Andorra è troppo piccola per sfidare l’Inghilterra». Lineker ha ragione: la formula ideale è quella della Nations. Perché Inghilterra-Andorra, così come Italia-Lituania, è una non-partita, mentre Andorra-Liechtenstein o Kazakistan-San Marino lo sono. Anche a livello di nazionali sarebbe perciò utile ricorrere alle fasce con promozioni e retrocessioni. Il calcio di vertice ha una forte valenza sociale, ma è in primo luogo uno spettacolo che fa da traino a tutto il resto. Il rischio, proseguendo con i sistemi attuali, è quello di ritrovarsi presto nelle stesse condizioni di Walter Fontana quando ammise: «Il mio ultimo spettacolo ha avuto così tanto successo che la gente faceva a pugni per uscire».

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