Ferlaino esclusivo: “Napoli e Diego, questa vittoria arriva insieme”

NAPOLI – Non si possono mischiare tre scudetti così, shakerando due ere e decine d’uomini distanti, ma ci si può calare semplicemente nelle emozioni di queste vite diverse eppure eguali che da un Secolo all’altro vibrano romanticamente. C’è stato un Napoli, nell’87 e nel ‘90, pieno di Diego, del suo calcio sovrannaturale, un tempo scolpito nel marmo e nell’eternità e poi adesso, 2023, ci sono gli eredi geniali e gioiosi che hanno tolto la polvere dalla memoria e hanno collegato le epoche con luci che illuminano il tempio. Trentatré anni non sono volati via inutilmente: Corrado Ferlaino era in campo allora, da presidente, ed è come se ci fosse anche oggi, da tifoso. La testa nel pallone e lo sguardo che scompone e ricompone il puzzle dell’estasi tra i suoi trionfi e questo di De Laurentiis, che sana una ferita.

Cosa prova il padre del primo e del secondo scudetto.
«Mi commuovo. Sono giorni speciali, mi riportano indietro, mi fanno rivivere quelle sensazioni. Ho la fortuna di vivere in una casa panoramica e domenica sera, subito dopo la fine della partita, ho potuto godermi lo spettacolo dei fuochi pirotecnici che è partito immediatamente, perché non avrebbe avuto senso aspettare. Era già fatta, ne eravamo convinti, un vantaggio clamorosamente incolmabile. Ma vincere a Torino con la Juve riempie. E io sono stato travolto dalla felicità».

Qua la buttano (anche) sul sociale…
«Lo so e lascerei perdere. Anche se in questo Paese ci hanno considerato spesso, e ancora lo fanno, come italiani di serie B, io penserei soltanto all’aspetto calcistico. Il Napoli stravince il campionato e dimostra di avere coraggio e competenza, se volete anche quel pizzico di fortuna che nella vita aiuta. Ma il messaggio che parte adesso è questo: sappiamo programmare, siamo capaci più di altri e questa ne è stata la dimostrazione. Il titolo dopo un anno rivoluzionario».

In diecimila ad accogliere la squadra al rientro da Torino.
«Mi è sembrato di rivedere le immagini di Stoccarda, all’epoca della vittoria della Coppa Uefa, che per me valeva la Champions League di oggi visto il valore delle avversarie. Sfilavamo tra ali di folla, gente in lacrime come me, quella sì che fu rivincita: la rivincita degli emigranti, di chi potè urlare al mondo la propria gioia e ribellarsi al destino che li aveva costretti ad andar a cercar fortuna lontani dalla propria terra. Trentatré anni sono un’immensità, direi un’eternità. La ricompensa dell’attesa ma anche il premio per un lavoro enorme, gigantesco. Posso dire con umiltà che so quanto sia difficile emergere, stritolati tra colossi economici, sempre prigionieri del risultato: qui è difficile, più che altrove forse, ma è anche più bello. De Laurentiis è stato bravo e soprattutto ha avuto intuito nel tenere Giuntoli, che è stato bravissimo a scegliere calciatori di uno spessore insospettabile, e a investire su Spalletti».

Il suo talento preferito?
«Ho imparato durante la mia presidenza che non bisogna innamorarsi dei giocatori, tranne di uno ovviamente, e quell’uno è chiaro che sia stato Maradona. Ho tenuto fede a questa mia tendenza anche dopo, da tifoso: posso dire che il Napoli ha venti-venticinque fuoriclasse, li metto tutti sullo stesso piano, e un Padreterno, se mi consente il termine».

Faccia liberamente ma ci racconti chi possiede questi poteri.
«Il Padreterno è Spalletti, che ha costruito una macchina perfetta. Una squadra senza difetti. Indimenticabile. Meravigliosa. Ha convinto tutti, nessuno escluso, a credere in quel calcio. Lo ha diffuso in questi mesi di campionato durante i quali ha garantito il divertimento ai tifosi del Napoli e per me anche a chi è esclusivamente appassionato di calcio. Uno splendore questo spettacolo. Non c’è stata partita, o forse non la ricordo, in cui il Napoli non abbia stravolto gli avversari. Forse due o tre volte c’è stato equilibrio e pure nelle sconfitte, quelle poche, ha detto qualcosa di suo. È stato battuto ma mai schiacciato. Mentre quando ha vinto, nella maggior parte dei casi, lo ha fatto senza che potesse esserci discussione. Anche contro la Juventus, pur con quell’1-0 di misura, ha avuto momenti in cui il dominio è stato evidente».

La vittoria di Torino ora e la vittoria di Torino nell’86: fotografie che si accavallano.
«Quella volta fu più larga, 3-1, ma pure questa ci ha dato molto, non solo la soddisfazione di avercela fatta. Che per certi versi adesso è anche maggiore, perché chiunque pensa e sogna di imporsi al 93’ e poi in casa della Juventus. Se devo trovare un termine di paragone, allora il successo dell’altra sera lo abbinerei a quello in Coppa Uefa, gol di Renica proprio all’ultimo secondo del supplementare. Dal 2-0 dell’andata al 3-0 del ritorno. Una serata pazzesca quella, una serata pazzesca questa».

Con la Juventus, si sente da come ne parla, c’è più gusto?
«Io lo chiamo sfizio. Non amiamo molto i piemontesi e le ragioni, ovviamente, vanno al di fuori del campo e hanno radici differenti. Ma continuo a pensare che non debbano esserci interpretazioni extra-calcistiche e dunque resto in questo ambito».

Però con l’Avvocato lei ci stava bene.
«Il giorno del 3-1 a Torino eravamo seduti vicini. Mi riempì di complimenti, mi fece gli auguri, riconobbe il valore del mio Napoli e lo fece con quello stile che era e poteva essere soltanto suo».

Il Napoli ha demolito il campionato.
«Come nessun’altra in passato, mi viene il sospetto. C’è un divario esagerato. E direi che ormai sono due mesi che avevamo capito quale sarebbe stato l’epilogo. E comunque, me lo lasci dire, rispetto a tre mesi fa la Juventus è migliorata: è passata dal 5-1 dell’andata all’1-0 del ritorno».

Quanto è felice, Ferlaino?
«Non importa quanto. E sufficiente che lo sia. Io non ho mai avuto il tempo di esserlo e adesso me la godo».

Troppo facile chiederle: ma si sta aprendo un ciclo?
«Speriamo di sì. Con Spalletti in panchina dico che è possibile. E con Giuntoli ancora. Io non pensavo fossero così bravo, non potevo saperlo. So che nessuno ci credeva ad agosto, magari neanche io. Ma l’hanno fatta veramente grossa, un capolavoro».
La delusione della Champions non ha tolto nulla?
«Quelle sono partite diaboliche: e si è visto. E poi non sarebbe stato facile vincerla. È andata così, non bisogna ossessionarsi. Pensiamo che magari in finale poi sarebbe andata male e chiudiamola. Uno scudetto è un evento troppo grosso per essere mischiato con pensieri tristi. Non può esserci neanche un minimo rimpianto».

Il primo scudetto senza Diego.
«C’è Diego anche in questo, conquistato nello stadio che gli è stato intitolato. Io andrò a Buenos Aires a pregare sulla sua tomba e a ringraziarlo per tutto l’amore che ha riservato e ci ha riversato, per esserci stati vicino anche adesso, dall’alto. Non esiste un erede di Maradona, non nascerà».

Le partite continua a vederle in tv, solo per un tempo.
«La tensione non la reggo. De Laurentiis mi ha invitato un paio di volte, sono stato contento di aver vissuto quelle giornate al suo fianco, ma per me è troppo stress».


Precedente Il retroscena: Mourinho lascia la casa di Aquilani, ma c'è un motivo Successivo Milan-Lecce, Baroni: "Sofferenza e sfortuna. Perché Strefezza in panchina"